di Lorenzo Giordani
E um sonho do qe se poderia ver se a
janela se abrisse
E un sogno di ciò che potrebbe esser visto
se la finestra si aprisse
(Fernando Pessoa)
Strana cosa una finestra!
Può essere sia ciò che divide, sia ciò che è diviso,
secondo che l’attenzione si fermi sul telaio o sul paesaggio.
Impossibile d’altra parte non pensare ad una prigione e
a tutti gli stati d’animo che sono propri della prigionia[1]
(Alberto Moravia)
Introduzione
Le opere d’arte al pari dei sogni non sono altro, secondo la nota interpretazione freudiana, che l’appagamento di un desiderio frustato nella realtà ma naturalmente questo appagamento non emerge in maniera esplicita e trasparente ma rimane latente e nascosto dietro simboli spesso difficili da interpretare. Questo è dovuto prioritariamente al fatto che i desideri sono per lo più legati ad aspetti licenziosi e sessuali spesso considerati inopportuni o immorali dalla società. I sogni come l’arte sono dunque il risultato di un compromesso tra repressione e represso[2], tra espressione del desiderio e sua negazione dovuta all’attività censoria e inibitoria della coscienza. Il sogno in quanto espressione del represso è dunque il luogo deputato a far emergere i desideri inconsci e in particolare quelli di natura sessuale perché oggetto di una maggiore e più prepotente repressione. Sogno e sesso sono dunque intimamente legati tanto che nell’arte e nella letteratura ne troviamo numerosi esempi. Un caso emblematico è quello dello scrittore Alberto Moravia la cui «ispirazione è spesso portata a parlare del sesso e a non parlare d’altro che del sesso»[3] inteso anzitutto come chiave per conoscere il mondo e stabilire un rapporto con la realtà. Per quanto concerne il legame tra sesso e sogno, propongo dunque di seguito una lettura di un breve e dimenticato racconto dello scrittore: La finestra aperta[4].
La finestra aperta
Pubblicato per la prima volta sulla “Gazzetta del Popolo” del 21 agosto 1941 a firma Pseudo, La finestra aperta,è stato poi inserito nella raccolta del 1944 L’epidemia e confluito infine nei Racconti surrealisti e satirici[5] del 1956. Il racconto, come altri della raccolta, è ispirato ai “funebri fotomontaggi” del romanzo-collage per immagini di Max Ernst[6] Une semaine de bonté ou les Sept Éléments capitaux[7] del 1934. L’opera dell’artista è divisa in cinque cahiers in cui per analogia a ogni giorno della settimana corrisponde un elemento, un esempio, una citazione e un’illustrazione: Dimanche: Le lion de Belfort; Lundi: L’eau; Mardi: Le cour du dragon; Mercredi: Œdipe; e il quinto comprendente gli ultimi tre giorni della settimana, dedicati rispettivamente a: Le rire du coq e L’île de Pâques; L’intérieur de la vue; La clé des chants.
Proprio alle ultime sette tavole della sezione La clé des chants s’ispira La finestra aperta.
Nel breve racconto moraviano due sorelle, Sofia e Oringia[8], costrette a condividere la stessa camera da letto perché vivono in una piccola casa, ogni sera si trovano a discutere se chiudere o no la finestra durante la notte. La finestra[9] diviene immediatamente simbolo in cui convergono e si condensano significati opposti e complementari esterno/interno, apertura/chiusura, evasione/prigionia, libertà/costrizione su cui è appunto costruito il testo moraviano. Sofia, il cui nome tradisce la natura saggia e razionale, è “pratica e amante dei propri comodi” per cui propende per tenere la finestra chiusa, al contrario Oringia, dal nome enigmatico, è invece “più sportiva, più fantastica” e la preferisce aperta. Il padre delle ragazze estenuato dal ripetersi della disputa ogni giorno stabilisce salomonicamente che «i giorni pari la finestra sarebbe rimasta chiusa, i dispari aperta».[10] Una sera di fine autunno però mentre il vento soffiava e urlava forte, contravvenendo a quanto stabilito dal padre, Sofia chiede alla sorella se riteneva opportuno e razionale lasciare la finestra aperta data la situazione. Oringia con spregiudicatezza e convinzione rispose che «soprattutto quella notte ella avrebbe spalancato le imposte. La voce del vento, ella soggiunse, la esaltava, i suoi soffi la inebriavano.»[11]
Deliziata ed eccitata dall’effetto e dalla furia del vento Oringia si corica sotto le coperte e si lascia andare alle raffiche fino ad addormentarsi. Oringia inizia così a sognare di essere trasportata dal vento fuori dalla finestra [FIG. 1]
attraverso una serie di cinque immagini in successione dal valore altamente simbolico che analizzerò più avanti in dettaglio e che esemplificano un animo inquieto, desideroso e al tempo stesso impaurito dalla sfera sessuale.
Il racconto si conclude così con Oringia apparentemente decisa a seguire la sorella e tenere tutte le notti la finestra chiusa. «Ma il passante intabarrato, la scalea, la nave, gli orsi, tutte le cose che aveva vedute, ora, passato il pericolo, le risalivano alla memoria con una strana vogliosa delizia»[12]. Così due notti dopo la giovane riaprì la finestra trepidante in attesa che le visioni oniriche si ripetessero ma invano. L’esperienza onirica dunque compensa e soddisfa parzialmente un’esigenza reale senza negare però le paure e i timori che certi desideri proibiti comportano.
La finestra e il vento
La finestra e il vento sono inequivocabilmente due elementi dal valore fortemente simbolico e metaforico. La finestra ha come principale caratteristica quella di dividere, di separare due mondi, uno interno, casalingo, intimo, sicuro, l’altro esterno, fatto di paesaggi ma anche di incertezze, sorprese, rivelazioni. Al tempo stesso però la finestra unisce i due mondi che dialogano e interagiscono tra loro. La finestra è dunque il «punto di incontro tra lo spazio umano e la realtà esterna, tra cultura e natura, tra la misura e l’infinito»[13], è un medium rappresentazionale che gioca sulla soglia, sul limine, sulla labilità dei confini della realtà e del sogno. L’aspetto più evidente è però l’idea che «quel varco nello spazio è un catalizzatore di storie e attivatore dell’immaginazione»[14] come simbolo di libertà e di desiderio, capace di portarci altrove. Se nella storia dell’arte gli esempi sono numerosissimi da Vermeer a Hopper da Magritte a Balthus, per quanto riguarda la letteratura l’esempio più noto è forse quello di Peter Pan di J.M. Barrie, in cui il bambino-folletto, che non vuole diventare grande, si manifesta attraverso la finestra spiando i bambini di casa Darling sino a trascinarli nel viaggio verso l’Isola che non c’è.
Per quanto riguarda il vento, vero motore del racconto, particolarmente interessante è l’attenzione descrittiva, che Moravia gli dedica rappresentandolo come un fallo in erezione “tepido, grosso, gonfio” pronto a penetrare e fecondare la ragazza con i suoi soffi possenti e intervallati, come un cane che ringhia e raspa per cercare un pertugio. Questa funzione vitale e fecondatrice del vento richiama alla mente due immagini iconiche della storia dell’arte e della cinematografia: la Nascita di Venere (1485) del Botticelli e la celebre scena del film Quando la moglie è in vacanza (in inglese The Seven Year Itch) del 1955 del regista Billy Wilder in cui Marilyn Monroe trattiene maliziosamente con le mani la gonna alzata dal vento. Nel dipinto di Botticelli il vento fecondatore è rappresentato da Zefiro che soffia impetuoso verso la dea dell’amore e della bellezza in procinto di approdare sull’isola di Cipro mentre quest’ultima cerca di coprirsi il pube con la chioma dei capelli dorati e con il pronto intervento di una delle Ore che le porge un mantello ricamato di fiori. Nella scena del film invece il leggero vestito bianco avorio della Monroe si alza a causa del vento proveniente dalla metropolitana di New York attraverso la presa d’aria di una grata della strada[15]. Il personaggio di Marilyn Monroe, che nella pellicola si apposta volontariamente sulla grata per sedurre e sorprendere il suo uomo, non è altro che una rivisitazione e una reinterpretazione moderna del tema della bellezza e della purezza femminile in procinto di essere violate. Oringia dunque rivive nel racconto moraviano questi due illustri precedenti assumendo anch’essa il ruolo della giovane bella e pura prossima ad essere penetrata e fecondata in seguito ad un atto sessuale.
Il vento nel racconto ha dunque una funzione di rottura dell’ordine, è l’elemento che minaccia e libera al tempo stesso, è l’estensione e il farsi carne del desiderio nascosto della protagonista Oringia. Il bisogno della giovane si realizza così non nella realtà e non in maniera attiva ma per via onirica e passiva tanto che come ha scritto Piero Cudini «Tutta la soddisfazione sta, si direbbe in termini attuali, nella creazione e fruizione d’una realtà puramente virtuale»[16].
Analisi del sogno
Se la finestra e il vento sono i due elementi centrali della narrazione è opportuno adesso soffermarci sull’analisi del sogno di Oringia cercando di offrirne una possibile interpretazione anche attraverso il confronto con le immagini da cui Moravia ha tratto ispirazione, ovvero le tavole di Max Ernst di cui si è detto in precedenza. Il sogno della protagonista, come visto, si può scandire in una serie di cinque immagini/quadri in successione.
La prima immagine del sogno, in cui sembra dominare il sentimento della paura, vede la ragazza con il corpo mezzo sospeso nel vuoto mentre con tutte le forze tenta di aggrapparsi alla tenda [FIG. 2]
il cui tessuto però non resiste e si strappa lacerandosi e facendola cadere nel vuoto “con i capelli agitati nella notte come una torcia furiosa”.
La seconda immagine, in cui domina il sentimento della vergogna e del pudore, vede la ragazza seminuda, “col petto esploso fuori dalle trine e i lembi inferiori della camicia rovesciati sul ventre”, mentre un uomo intabarrato e con la tesa del cappello calata sugli occhi sembra pronto ad afferrarla tra le braccia nel punto dove stava cadendo [FIG. 3].
Ma proprio mentre la punta dei piedi sta per toccare il cappello dell’uomo il vento la trascina via.
La terza immagine vede la giovane strapazzata dal vento «che la tirava per i capelli assoggettando il suo corpo ad una torsione analoga a quella che il serpente fa subire al coniglio o al pollo che ha inghiottito. Ella si sentiva arrotolare e tirare come da due mani smaniose di allungarla e ridurla ad una sorta di fuso.»[17] poi mentre sta per precipitare di nuovo al suolo scorrono di getto davanti ai suoi occhi «una scalea sordida e regolare di granito nero, una sfinge di pietra nera che guardava nel vuoto con occhi cavi, un’acqua nera che lambiva senza schiuma gli ultimi scalini, neri uccelli che parevano saltellare e svolazzare pesantemente sulla scalea».[18] [FIG. 4]
Ma ancora una volta una folata di vento la porta via.
Ed ecco la quarta immagine: Oringia cavalca le onde del mare in burrasca mentre un veliero furtivo corre all’orizzonte per poi avvicinarsi a lei con la prua desiderosa di «attaccarsi al bompresso, e restare lì, nuda e protesa, vivente polena, a godersi gli schiaffi delle onde e le raffiche del vento».[19] Domina in questa fase la consapevolezza del piacere e il desiderio di protarlo oltre, di trattenerlo.
La quinta ed ultima immagine vede la fanciulla scaraventata in un parco pubblico sopra le fronde degli alberi all’interno delle quali vi è un foro e il vento la fa sobbalzare su e giù. Ad un tratto Oringia avverte una zaffata di odore ferino e comprende di essere sopra una gabbia dove si trovano feroci orsi bruni che «facevano cerchio con le groppe, levavano in alto le teste tozze, scoprivano con speranza i denti ferini»[20]. Come nelle precedenti situazioni quando sembra soccombere percependo i denti degli orsi azzannare le sue carni il vento la spinge in un’altra direzione: il suo letto da cui si desta di soprassalto.
Non c’è dubbio dunque che il sogno di Oringia sia ascrivibile alla sfera sessuale e può dunque essere interpretato come il desiderio di un rapporto, o può descrivere semplicemente l’orgasmo femminile anche se come tutti i sogni, frutto dell’attività dell’inconscio, è difficile stabilire con assoluta certezza il significato specifico dei vari simboli. L’unica certezza è che questa esperienza onirica di natura sessuale non è vissuta in maniera totalmente piena e felice ma è sofferta. Nelle immagini del sogno si alternano non a caso elementi e simboli positivi legati al piacere dei sensi ad altri che inducono paura, timore, rimorso. Tutto ciò è evidente anche a livello lessicale nell’utilizzo di parole ed espressioni violente che alludono al rapporto sessuale (goffa furia, scossa formidabile, lacerazione brusca, strappò, sfracellarsi, odore ferino, scagliò). In questo senso le contrazioni, gli spasimi e la condizione di estatica e convulsa eccitazione provocate dal vento sul corpo di Oringia, così ben descritte da Moravia, sembrano ricalcare le tavole di Max Ernst che a loro volta hanno un’origine particolare legata proprio alla sfera sessuale femminile.
Per realizzare i suoi collages l’artista tedesco «utilisé des gravures sur bois d’aprés des photographies qui restituent la “grande attaque”. Les photos furent prises, dans un but scientificque, à la Salpêtrière, un asile réservé aux femmes, où Charcot tenta, à la fin du XIX siècle, de percere le mystère de l’hystérie. La documentation photographique des crises d’hystérie constitue le matériau de départ de ce tableau synoptique qui répertorie les phases graduelles, caractéristiques de la crise»[21]. Le immagini ernestiane sono dunque frutto di una rielaborazione e di un riuso di un libro di fotografie in cui sono rappresentate le varie fasi dell’isteria, in linea peraltro con Louis Aragon e André Breton che la considerarono come un «moyen suprême d’expression»[22] e la «plus grande découverte poétique de la fin du XIX siècle»[23], che secondo Freud era strettamente connessa alla sfera sessuale. Non a caso, nei suoi studi giovanili presso l’Istituto Salpêtrière di Parigi come allievo del neurologo Jean-Martin Charcot, fu condotto alla scoperta dell’inconscio e alla elaborazione delle teorie psicanalitiche individuando la causa principale dell’isteria femminile proprio nella repressione del desiderio sessuale. Non sappiamo quanto Moravia fosse consapevole della provenienza, dell’origine primaria di queste immagini, ma è certo che sia riuscito a coglierne il significato più autentico e profondo, descrivendo una condizione estatica che ben si addice all’isteria come all’orgasmo.
Conclusioni
In conclusione è evidente il debito che Moravia ha avuto sia nei confronti del surrealismo, e nello specifico di Max Ernst almeno nel racconto prese in esame, sia della psicanalisi come fonti di rappresentazione e comprensione della realtà. Del resto lo scrittore non fece mai mistero di essere stato influenzato dalla poetica surrealista e di aver provato verso di essa un interesse “quasi morboso”: «Ero molto sensibile alle scoperte dei surrealisti sul sogno e l’inconscio, come fonti di ispirazione. In realtà la mia avanguardia è stata il surrealismo. E questo spiega anche una cosa, che i miei romanzi, a tutt’oggi, partecipano di un’ambiguità che li distingue cioè sono realistici, ma al tempo stesso simbolici. Un po’ com’erano i surrealisti. […] il surrealismo aveva scoperto l’inconscio, come Freud, e l’inconscio era molto importante nella tendenza esistenzialistica a cui appartengo. I surrealisti hanno cambiato la nostra sensibilità, dopo di loro la rappresentazione del reale è diventata diversa e più completa. Molto in breve i surrealisti hanno completato la veglia con il sogno.»[24] Da questo interesse non poteva che nascere e svilupparsi un racconto come La finestra aperta che intreccia sesso e sogno i due fondamentali principi ispiratori del surrealismo.
[1] Alberto Moravia, Graziana Pentich, Mostra personale presso la Galleria «Schettini», Milano, 10-22 ottobre 1972.
[2]Interessante a tal proposito l’utilizzo critico del concetto di formazione di compromesso da parte di Francesco Orlando che ha tentato di spiegare il funzionamento della letteratura attraverso gli strumenti e le categorie fornite da Freud e dalla psicanalisi. Nella letteratura si condenserebbe il rapporto tra repressione e represso e dunque si manifesterebbe l’inconscio allo stesso modo in cui avviene per i sogni, i lapsus, etc. La letteratura è dunque il luogo privilegiato in cui trova spazio e appare in tutta la sua evidenza il cosiddetto “ritorno del represso”. L’idea di Orlando trova rispondenza ed è mutuata dallo stesso Moravia come rilevato efficacemente da Alessandra Grandelis a partire dal suo articolo “Preferisco la pittura alla letteratura”. Alberto Moravia e gli scritti d’arte, in Arabeschi, n. 2 luglio-dicembre 2013, pp. 71-84.
[3]Alberto Moravia, Alain Elkann, Vita di Moravia, Milano, Bompiani, 1990, p. 274.
[4]Si tengano presenta due aspetti: come altri racconti della raccolta si può considerare un elegante e riuscito esercizio di scrittura inoltre il tema del sogno è trattato in maniera esplicita in almeno altre due testi I sogni del pigro e La vita è un sogno.
[5]Questo volume esaurisce di fatto la vena fantastica e una specifica stagione creativa moraviana riunendo la raccolta di 27 novelle dal titolo I sogni del pigro. Racconti, miti, allegorie uscita nel 1940 per Bompiani, i 15 racconti contenuti nell’Epidemia pubblicata dalla casa editrice Documento di Federico Valli nella collana “I compagni di strada” ed altre 12 novelle apparse tra il 1946 e il 1948 principalmente sul quotidiano “Il Tempo”. La raccolta finale consta dunque di 55 racconti in cui si intersecano il gusto per il fantastico, l’assurdo e il mito con intento satirico-allegorico.
[6]Per un’analisi più approfondita sull’influenza di Max Ernst nelle opere di Moravia e in particolare sulla costruzione di alcuni dei racconti surrealisti e satirici rinvio all’articolo di Tonino Tornitore, Moravia e Max Ernst, in I segni incrociati: letteratura italiana del ’900 e arte figurativa, a cura di M. Ciccuto, Lucca-Viareggio, Mauro Baroni Editore, 2002, vol. ii, pp. 213-260 e al mio saggio Lorenzo Giordani, Cultura figurativa di Alberto Moravia (con un regesto dei suoi scritti sull’arte e gli artisti), in Letteratura & Arte, n. 11, 2013, Pisa-Roma, Fabrizio Serra editore, pp. 159-212.
[7]Per approfondire la genesi e la costruzione è il terzo romanzo-collage o fotoromanzo, composto in sole tre settimane a Vigoleno, tra Parma e Piacenza in Italia nel 1934 da Ernst, dopo La Femme 100 têtes (1929) e Rêve d’une petite fille qui voulut entrer au Carmel (1930) di Ernst frutto di una straniante e onirica rielaborazione di immagini provenienti per lo più da enciclopedie, illustrazioni e opere di epoca vittoriana si leggano Éric Bonnet, Rêves et figures Une semaine de bonté ou les Sept Éléments capitaux emblématiques pp. 117-128 e Inès Lindner, Économie technique et effets surréels stratégies de montage dans Une semaine de bonté, pp. 129-143.
[8] Da notare che il nome insolito della protagonista è utilizzato anche nel romanzo Il viaggio a Roma (1988), incentrato su un uomo ossessionato dal rivivere la scena primaria, dove è utilizzato per la scimmiesca donna di servizio (qui con chiaro richiamo all’orango). Rimane invece oscura e di complessa decifrazione la scelta del nome nel racconto qui analizzato.
[9]La finestra diventa un vero e proprio tema nella letteratura e nell’arte a partire dall’Ottocento. Per un approfondimento del tema anche in ottica moraviana si rimanda alla lettura del libro di Bruno Basile, Una finestra socchiusa. Ricerche tematiche su Dostoevskij, Kafka, Moravia e Pavese, Roma, Salerno editrice, 2003.
[10]Alberto Moravia, La finestra aperta, in Racconti surrealisti e satirici, Milano, Bompiani, 1980, p. 244.
[11]Ibidem
[12]Ivi, p. 248.
[13]Emanuela Pulvirenti, Il mondo alla finestra. La storia dell’arte raccontata dalla cornice di una finestra, Milano, BUR Rizzoli, 2022, p. 6.
[14]Ivi, p. 7.
[15]L’immagine è divenuta celebre nella cultura di massa e imitata più volte in film, foto, etc. grazie anche alle fotografie scattate da Matty Zimmerman. La scena del film venne invece girata per quattordici volte all’angolo tra Lexington Avenue e la 52esima Strada dove si affollarono numerosi fotografi e passanti curiosi.
[16]Alberto Moravia, Racconti surrealisti e satirici, introduzione di Piero Cudini, Milano, Bompiani, 2012, p. 10.
[17]Alberto Moravia, La finestra aperta, cit., p. 246.
[18]Ibidem
[19]Ivi, p. 247.
[20]Ibidem
[21]Inès Lindner, Économie technique et effets surréels stratégies de montage dans Une semaine de bonté, pp. 135-138.
[22]André Breton, Le cinquantenaire de l’hstérie (1878-1928), in La Révolution surréaliste, n. 11, 15 marzo 1928, p. 22.
[23]Ibidem
[24]Alberto Moravia, Alain Elkann, Vita di Moravia, cit., pp. 242-243.
Tutte le immagini sono tratte da: Max Ernst, Une semaine de bonté. A surrealistic novel in collage, New York, Dover Publications, 1976.