EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Reati nati nel silenzio. Il crimine giovanile. Intervista a Mauro Grimoldi

di Federica Biolzi

I crimini commessi da giovani e giovanissimi sembrano imporsi sempre più nella cronaca quotidiana. Questi fatti ci colpiscono, ci turbano, ci fanno riflettere, molto più di altri mettono in discussione il ruolo degli adulti e della società nel suo insieme. Mauro Grimoldi psicologo giuridico e consulente per diversi Tribunali lombardi, esperto nel settore, ci dà un amano, con il suo libro Dieci lezioni sul male – I crimini degli adolescenti, a far luce su aspetti e dinamiche che ci riguardano da molto vicino.

La sua professione l’ha portata a stretto contatto con una realtà non sempre conosciuta nei suoi particolari. Una realtà dura e, spesso, di difficile comprensione per noi adulti. Da dove nasce l’idea di scrivere un libro in cui, dieci lezioni sul male, vogliono essere punti di condivisione e di partenza  per un’alleanza di lavoro, e forse anche terapeutica, con il mondo adolescenziale?

-Ho scritto questo libro per il desiderio profondo di condividere anzitutto uno strumento, fatto di parole e di racconti. Sono gli stessi adolescenti, con i loro reati spesso nati nel silenzio di una narrazione puramente immaginaria, condotti e realizzati in modo ben poco accorto, che loro stessi percepiscono come un evento così occasionale da sembrare opera del caso, come un evento atmosferico su cui non si ha alcun controllo, a insegnarci una lezione estremamente utile sulla sicurezza sociale. La violazione del patto sociale non è un fatto naturale. Non risponde neppure alla logica del profitto anche quando alcuni reati, come lo spaccio di sostanze stupefacenti e il furto sembrerebbero suggerirlo. È un evento che non ha nulla di fisiologico, ma che, seguendo l’insegnamento di Foucault, risponde ai parametri di una patologia, e, come tale, richiede una diagnosi, un trattamento ed è possibile anche una prognosi. La nostra fortuna è che l’atto trasgressivo nella coazione del suo ripetersi nella vita di un adolescente, con le sue similitudini mai casuali assume un significato profondamente simbolico e racconta qualcosa del suo autore. Specie quando i reati sono seriali, sistematici, ripetitivi, specie quando ci accorgiamo che un particolare reato rimane incollato al proprio autore come un vestito su misura per lui, come una sceneggiatura. Usare questo strumento, decodificare quel contenuto nascosto messo nella forma visibile e tangibile magari di un arto o di un’arma che attinge il corpo dell’altro, è la chiave della risoluzione di un conflitto, altrimenti insanabile, tra quell’adolescente, che rischia di diventare un danno sociale a lungo termine, e il resto del mondo. Credo che quelle storie, spesso così lampanti da sembrare didascaliche, ci offrano spesso una via di uscita. Questo libro è dedicato non per caso ai miei figli, poiché equivale a un’eredità. E’ un insegnamento prezioso, elargito con generosità da loro, dai recalcitranti autori dei peggiori reati, a noi, oliati ingranaggi del sistema delle regole e delle sanzioni, per comprendere i significati di quei conflitti così plasticamente rappresentati sulla scena dell’azione antisociale. Per comprenderli, che non significa mai giustificarli, e poter, solo dopo avere capito, utilizzare strumenti diversi dalle restrizioni, carcerarie e non, per prevenire e contrastare la criminalità degli adolescenti.

Tra le bellissime storie narrate vi è quella di Jonathan. Si tratta di un ragazzo giovanissimo, molto alto e prorompente con alle spalle diverse tipologie di reato. Ma  Jonathan è  anche un ragazzo alla ricerca di  aiuto. Come si possono fornire degli strumenti utili a cambiare o modificare un percorso che spesso è già segnato e, in questo caso, a un’età in cui non si è ancora imputabili?

-Jonathan è in effetti un caso straordinario. Potrebbe essere tranquillamente una sorta di discendente del protagonista del film “Il miglio verde”, di cui sembra ricalcare alcuni tratti somatici e caratteristiche personologiche.  Spero che lo stupore sperimentato di fronte a questo come ad altri incontri possa trasparire tra le righe di ciò che ho scritto. Penso di doverlo a Jonathan, come agli altri. Lui, il gigante nero, è un monumento alla disarmonia evolutiva. A 17 anni non ancora compiuti è alto 1,92 cm, oltre il 99º percentile nelle curve di crescita. Il suo quoziente di intelligenza, di converso, è 62, ben lontano, ancora una volta dalla media, del 2% inferiore. Si può solo immaginare l’uso che il gigante abbia fatto nel tempo del suo corpo, lui e un intero mondo sociale appartenente al retroterra dei crimini giovanili di basso cabotaggio, che ha intuito di poterlo usare come un’arma e sfruttarlo. Lo hanno arrestato mentre ballava sopra il tetto di un’auto dei carabinieri, mentre i suoi amici, che si erano divertiti a registrarlo, hanno avuto tutto il tempo di darsi alla fuga. Alla fine il gigante mi ha detto: “Doc, questi disegni spaccano, si possono comprare?” Erano le tavole di un test proiettivo. Io gli ho detto che se avesse voluto, avrebbe potuto tornare a parlare con me; mi ha chiesto se avrebbe dovuto pagare, e gli ho detto che no, lui no. È tornato. Nel libro questo finale non c’è, perché ancora doveva succedere. Johnatan è tornato, si è affidato e si è fidato, e forse mi viene da pensare, in quello che è stato un incontro a suo modo fondamentale, qualcosa si è risolto, perché Jonathan ha fatto una scelta giusta, una di quelle importanti. La mia giovane ausiliaria in formazione, dopo quel colloquio, si è commossa. Jonathan aveva imputazioni per sei reati contro la persona, si metteva a disposizione per risolvere le controversie: lui era la pistola, la spada, l’arma dei suoi amici.

Nel suo lavoro, ha a che fare con centinaia di ragazzi autori di reato, che ruolo hanno l’ascolto e l’empatia in queste storie di vita?

-Ho una certa avversione per il concetto di empatia. Siamo circondati dalla retorica dell’empatia, che radicalizza una posizione simmetrica, che non abbiamo e non dobbiamo avere. Non siamo solo adulti, siamo anche tecnici, siamo una parte del sistema. Loro ci vedono così. Però, abbiamo un grande vantaggio, come operatori sociali e sanitari in contatto con gli adolescenti autori di crimini: non spetta a noi giudicare i fatti, non spetta a noi sanzionare, non spetta a noi nemmeno dare indicazioni di comportamento. Lasciamo agli educatori, ai giudici, ai poliziotti e ai magistrati un compito duro, difficile. Noi ci teniamo i nostri oneri ma anche qualche privilegio, primo fra i quali quello di poter ascoltare, capire, e basta. Se lo facciamo bene, se riusciamo a dire all’adolescente qualcosa che lo sorprenda per quanto sia vero, se riusciamo in questo, per loro probabilmente, questa esperienza sarà una novità assoluta, un’epifania. Qualcuno ne rimarrà sconcertato, stupito, penserà che ci sia qualcosa di magico nelle nostre tavole di Rorschach, come accaduto a Johnatan. Potremo dare indicazioni valide a chi deve formulare i contenuti di una messa alla prova, che è una straordinaria opportunità offerta dal nostro sistema giudiziario, e, quando siamo molto fortunati, può essere che un adolescente autore di reato colga nelle nostre parole il valore di un ascolto che non giudica, laico, senza memoria né desiderio, come diceva Freud. Niente di nuovo sul fronte, come si vede, solo uno strumento che, quando si è ben addestrati a usare, ha una buona chance di produrre cambiamento, ri-abilitazione, una rettifica della propria posizione rispetto al mondo. Non succede sempre, ma quando succede è sempre un gran bel panorama da guardare.

Lei affronta, tra l’altro il tema delle dipendenze, delle diverse addiction e ne sottolinea un aspetto molto importante, ossia come la dipendenza si   possa collocare anche nella relazione tra l’individuo e l’altro, ci può spiegare meglio questo aspetto?

-È piuttosto frequente incontrare degli adolescenti in una situazione di blocco evolutivo che trascorrono qualche tempo della propria vita annebbiati in qualche parco, in una realtà soffusa della cannabis o più di rado da altre sostanze stupefacenti, in compagnia di qualche amico che condivide lo stesso orizzonte. Le dipendenze in adolescenza permettono soprattutto di prendere tempo, mettono tra parentesi il grosso problema della relazione con l’altro, dell’incapacità di essere soli, della crescita come ferita. L’adolescente lo sa: nei casi più gravi la relazione con l’altro prende pieghe serissime: nei casi estremi, potrebbe anche innamorarsi. In questo caso, in cui la relazione con l’altro si fa imprescindibile, il proprio oggetto d’amore, una persona magari pressoché sconosciuta fino a poco prima riceve in dono una potenza straordinaria, fino al punto di poter annichilire il sé. Un bel guaio per un adolescente, se appena attraversato da una quota di fragilità. La relazione dipendente, che sia con una sostanza o al limite anche con una persona, consiste in una qualità della relazione con l’altro, che rende l’altro un partner oggettuale, oggettivizzato, sotto controllo. Si occulta la realtà della relazione, si ci si permette per un po’ di mantenere l’illusione di una sorta di indipendenza, di potersi dare il piacere da sé, di farsi da soli. 

L’aumento esponenziale dei reati violenti commessi dagli adolescenti dopo la pandemia ha lo stesso significato, come se si fosse diffuso a macchia d’olio in una forma di analfabetismo affettivo, di incapacità a relazionarsi in modo dialettico con l’altro. Questa è la malattia che devono oggi combattere le scuole, le famiglie e gli adulti in tutte le occasioni in cui incontrano l’adolescente in una fase di costruzione difficoltosa della propria identità. Una grande sfida sociale, in un tempo difficile.

Lei affronta i reati più comuni. Lo spaccio, il furto, i reati sessuali, l’abuso intrafamiliare, l’infanticidio, le aggressioni, ma anche l’omicidio minorile. In un argomentare molto interessante, lei spesso sottolinea come sia il reato a scegliere il suo autore. Cosa significa? 

-Significa che esiste un isomorfismo, una specularità tra il reato e il suo autore. E’ una conseguenza diretta del fatto che il reato costituisca una messa all’esterno del conflitto profondo dell’adolescente, conflitto che viene reso visibile dall’agito trasgressivo. Nei casi in cui affronto un perizia, l’analisi dei comportamenti, per come sono descritti negli atti giudiziari costituisce per questa ragione sempre il primo passo, dal quale già si possono ricavare degli elementi fondamentali per una valutazione del caso. Già spesso si è in grado di fare un’ipotesi sul problema che ci troveremo di fronte. Dall’analisi dei reati si capisce sempre qualcosa di importante del loro autore. L’adolescente che commette rapine in maniera seriale, rubando e affrontando il pericolo dello scontro diretto, presenta una problematica completamente diversa da quella di uno spacciatore narcisista, che magari non consuma sostanze, o da quella di un giovanissimo che viene coinvolto in un reato sessuale di gruppo, rivelandosi straordinariamente incline a credere all’improbabile presunzione che vi sia una coetanea disponibile a trasformare il sesso, che in quell’età è spesso vissuto come l’ultimo gradino di una scala di esperienze, in un ludus, un gioco di gruppo dalle regole note. La valutazione di quell’identità tra reato e autore è di fatto sempre il primo ingrediente di ogni valutazione e costituisce la porta d’ingresso ad ogni intervento che sia dotato di senso e di cui possiamo stimare un possibile esito favorevole.


Mauro Grimoldi 

Dieci lezioni sul male

I crimini  degli adolescenti

Raffaello Cortina Editore , 2024 

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