EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Ri-vivere nel processo di differenziazione: la sfida dell’adolescenza nelle famiglie biologiche e adottive

di Francesca Rifiuti

 

Capita di pensare al rivivere, al rinascere, come a qualcosa che implichi una ripartenza da zero, un ricominciare da capo. Spesso è esattamente il contrario: per tornare alla vita, per iniziare un nuovo percorso, abbiamo bisogno di integrare la nostra storia, il nostro passato e le persone che ne hanno fatto parte, con il qui e ora e con le nostre idee e le rappresentazioni del futuro. Sapere di appartenere, di essere parte di una storia, senza rinnegare le proprie origini e riflettendo sull’importanza di dipendere, in qualche misura, dai legami significativi, è il primo passo che ci porta a differenziarci, a diventare esseri umani, a definirci nelle nostre caratteristiche peculiari.

Questa appare, in modo molto sintetico, la sfida dell’adolescenza, momento di passaggio e di maturazione che accompagna l’essere umano all’età adulta, una delle fasi più ricche e complesse del ciclo vitale della famiglia e della crescita dell’individuo.

La transizione all’età adulta non può definirsi come una rottura con i legami delle fasi precedenti, ma è un’impresa evolutiva congiunta di genitori e figli (Scabini e Cigoli, 2000), alla ricerca di una modalità trasformativa per rinegoziare i legami a livello intergenerazionale.

Già Winnicott (1965) aveva prestato grande attenzione ai vissuti di angoscia dell’adolescente, che vive in mezzo a spinte contrastanti, in un gioco di ambivalenze tra la necessità di indipendenza e il bisogno di appartenere comunque al proprio nucleo familiare.

Se riflettiamo sulla Teoria dell’Attaccamento (Bowlby, 1988), possiamo dire che il comportamento dell’adolescente si presenta in discontinuità con quello messo in atto dai bambini nella fase dell’infanzia. I ragazzi, infatti, possono apparire impegnati nel negare il legame di attaccamento con i propri care-giver, vissuti come ostacolo al raggiungimento di una indipendenza e autonomia. Il legame di attaccamento resta sullo sfondo e ad attivarsi maggiormente è invece il sistema esplorativo, che porta i ragazzi a conoscere il mondo esterno ma anche e soprattutto il mondo interiore, quello delle emozioni e delle relazioni. La qualità di queste esplorazioni dipenderà dalle pregresse relazioni di attaccamento e dai modelli operativi interni, ma anche dalla capacità dei genitori di rendersi base sicura nell’attualità.

All’interno dell’approccio sistemico-relazionale è importante ricordare il lavoro di Murray Bowen (1979) e James Framo (1992), i quali fanno riferimento al processo di differenziazione del Sé dalla propria famiglia d’origine e alla ricerca di un equilibrio dinamico tra appartenenza e separazione. Ma l’adolescenza non è solo l’età dello svincolo: il bisogno di separazione dell’adolescente è tanto forte quanto l’esigenza e il bisogno di sentire l’appartenenza (Andolfi, 2010).

L’adolescente attraversa momenti di opposizione, trasgressione, provocazione e sfida verso l’altro, perché in questo modo riesce a prendere le distanze dalla propria famiglia e dalle aspettative che ricadono su di lui, colto anche dal timore che la propria individualità scompaia stando troppo vicino a chi si è da sempre preso cura di lui.

Gradualmente si va incontro a una rinegoziazione dei propri spazi e della propria dipendenza: nonostante le spinte verso il fuori, l’adolescente chiede ancora di essere contenuto e considerato parte dell’unità familiare. Questo è fondamentale perché, in un momento in cui i ragazzi stanno costruendo la propria identità, rafforzando la propria struttura interna costitutiva della personalità e riconoscendo le proprie competenze nel mondo, richiedono alla famiglia di soddisfare i loro bisogni di essere riconosciuti, sostenuti, valorizzati e stimati. I figli adolescenti, con un’immagine di sé ancora in costruzione, si specchiano fuori dalla famiglia, in differenti contesti e nel gruppo dei pari, in cerca di nuove parti di sé. Ma che cosa può succedere nel momento in cui l’adolescente porta la differenza all’interno della famiglia? Queste saranno accettate e integrate dai genitori oppure provocheranno un’esplosione? Un figlio che inizia a definirsi attraverso caratteristiche distinte da quelle dei propri genitori rischia di essere estromesso? (Vadilonga, 2010)

Proprio per queste ragioni ai genitori viene richiesto, per permettere la crescita e promuovere il processo di soggettivazione, di mettere in pratica un tipo di protezione flessibile (Scabini, 2000) che tenga conto dei bisogni di appartenenza ma anche di quelli di autonomia e di movimento verso l’esterno. Il processo di soggettivazione può essere pensato come una tendenza, che dura per tutta la vita e che accompagna l’individuo a essere consapevole delle proprie responsabilità all’interno delle relazioni, a sentirsi parte di un tutto, a riconoscere gli altri e ad aver bisogno di essere riconosciuto a propria volta.

Il processo di differenziazione è reso difficoltoso in quei casi in cui ci siano state difficoltà nell’attaccamento o precarietà nelle relazioni (anche a livello trigenerazionale) che portano all’angoscia della perdita: nel periodo dell’adolescenza i figli assumono la funzione di agitatori dei temi del corpo familiare (Cigoli, 1992), scuotono l’emotività della famiglia, per costruire la propria identità mettono in discussione i genitori e toccano i loro punti deboli, legati alle ferite della loro storia e a modelli familiari trigenerazionali.

La complessa sfida dell’adolescente adottivo

Se per ogni adolescente questa fase è di fondamentale importanza per la costruzione dell’identità, l’integrazione di una nuova immagine di sé, la differenziazione dai genitori e la definizione di un proprio valore individuale, per l’adolescente adottivo la sfida è ancora più complessa e la strada per una rinascita, intesa come differenziazione e soggettivazione, ancora più tortuosa. I ragazzi e le ragazze in questo periodo fanno i conti con il dentro delle relazioni familiari, con il fuori delle relazioni amicali ma anche con la storia delle origini, con i ricordi, il bisogno di informazioni che riguardano la loro vita preadottiva e con l’abbandono subito; è importante riflettere sui compiti di sviluppo tipici di questa fase del ciclo vitale, tenendo in considerazione la particolarità delle situazioni adottive.

Dal punto di vista dello sviluppo corporeo e sessuale, oltre alla maturazione e al bisogno di riorganizzazione e integrazione della propria identità fisica, gli adolescenti adottati hanno un altro ostacolo da affrontare: nel percorso di cambiamento del proprio corpo, assumono una centralità fondamentale le domande “a chi assomiglio?” “come diventerò?”. Il corpo riflesso nello specchio diventa il costante promemoria di un patrimonio genetico estraneo, per non dire straniero (Stroppa, Casonato, 2016). Nel caso delle adozioni internazionali, in cui le differenze somatiche con i familiari ma anche con il gruppo dei pari sono maggiormente evidenti, l’adolescente può sentirsi smarrito, alla ricerca di un modello di riferimento che lo aiuti a rappresentarsi nel presente, a immaginarsi nel futuro e a non sentirsi solo e “sospeso” tra molteplici appartenenze, nessuna delle quali forte abbastanza da farlo sentire sufficientemente sereno.

Parlando di compiti di sviluppo relativi alla sfera relazionale, possiamo riprendere il concetto di processo di differenziazione: questi adolescenti non devono differenziarsi solo dai propri genitori adottivi ma anche dalla rappresentazione e dalla presenza fantasmatica dei genitori biologici e della propria storia preadottiva che tornano sulla scena.

I ragazzi adottivi arrivano all’adolescenza dopo aver subito, in età infantile, un abbandono da parte dei genitori biologici e quindi una rottura del legame di attaccamento primario (Bowlby, 1988). L’esperienza della perdita e, in alcuni casi, gli episodi a valenza traumatica, quali abuso o maltrattamento (Brodzinsky e Schchter, 1990) subiti nei primi anni di vita incidono sul senso di identità e di continuità dell’Io. Winnicott (1965) afferma che le cure ricevute dal caregiver permettono al bambino di costruire una continuità dell’essere, base fondante dell’identità. La mancanza di efficaci e sufficienti cure primarie genera rottura e non permette ai bambini di formare rappresentazioni interne di figure protettive affidabili, costituendo terreno fertile nel corso della crescita per difficoltà nello sviluppo di una fiducia in se stessi, negli altri e nel mondo (Toscani, 2019) che è fondamentale per attraversare le oscillazioni tra appartenenza e differenziazione tipiche dell’adolescenza.

Alcuni figli adottivi hanno ricordi nitidi, dettagliati e connotati emotivamente della relazione con i genitori biologici, mentre altri hanno memorie più sfumate e parziali, se l’abbandono è avvenuto nei primi periodi di vita. Tuttavia, a prescindere dal momento in cui l’esperienza della perdita è avvenuta, essa influenza in modo significativo il modo in cui questi ragazzi affronteranno tutte le successive perdite della vita (Vadilonga, 2010). L’adolescenza si configura come il periodo di passaggio dalla condizione infantile a quella di giovane adulto e ciò comporta la perdita di una relazione con i genitori basata maggiormente su aspetti di tipo nutritivo e protettivo. Il processo fisiologico di differenziazione dalle figure genitoriali è complesso: non ci sono solo due ma ben quattro genitori con i quali mettersi a confronto: a chi somiglio? A chi e in che cosa sono diverso? A che cosa mi riferisco quando dico “noi”? La duplicità dell’appartenere mette a dura prova l’adolescente adottivo, poiché sono due le famiglie che assumono una rilevanza psicologica. Come sostiene Andolfi (2017), la famiglia biologica è sempre simbolicamente presente nella crescita dei figli adottivi, ma anche nelle modalità di relazione che si intessono nella famiglia e all’interno del mondo rappresentazionale di tutti i membri.

Oscillare tra l’essere grandi e maturi e l’essere piccoli e bisognosi di cure fa parte di questa fase del ciclo vitale, ma nel caso dell’adozione questa altalena è spesso frenetica, a causa di una storia più discontinua e meno strutturante e della percezione di scarso valore che spesso accompagna l’esperienza dell’abbandono.

L’arrivo dell’adolescenza mette in discussione tutto il corpo familiare, portando alla luce non solo le paure dei figli di non essere all’altezza delle aspettative, ma anche i fantasmi di inadeguatezza dei genitori. Per proseguire nel processo di differenziazione senza perdere l’appartenenza, i figli hanno bisogno di sentirsi accettati e valorizzati dai genitori, nonostante le differenze. Vedere l’insoddisfazione nei loro occhi provoca forti sensi di colpa che si manifestano sotto forma di aggressività verso l’oggetto non gratificante (Francini et al., 2019).

È esperienza comune per tutti i ragazzi e le ragazze il desiderio di sapere di più delle proprie origini, di come sono nati, come erano da piccoli. Questo bisogno denota la grande importanza della storia personale per la costruzione dell’identità e della conoscenza di sé: il passato fa parte di noi, le nostre radici ci permettono di imparare qualcosa di più su come siamo fatti, sui nostri bisogni, sulle nostre difficoltà. Il passaggio all’età adulta non è una narrazione che riparte da zero, non è solo una rinascita, ma rappresenta una nuova pagina della storia, in continuità con ciò che è successo in passato.

La spinta alla ricerca delle origini sorge spesso in modo molto forte nel percorso di vita dei ragazzi adottati e questo processo di ricerca è caratterizzato da aspetti di ambivalenza: da una parte vi è il grande desiderio di conoscere, dall’altra la paura di entrare in contatto con qualcosa di molto doloroso e inaspettato. Questo fa sì che, all’interno della famiglia, si riacutizzi il dolore della perdita ma anche la paura dell’abbandono, del rifiuto, il senso di inadeguatezza. D’altronde è però necessario che i genitori adottivi abbiano in mente che i genitori biologici possano essere oggetto di pensiero dei propri figli e che l’appartenenza originaria non possa essere negata, eliminata o sostituita con quella nuova. La rappresentazione di sé che il figlio adottivo costruisce è strettamente legata anche al rispecchiamento dell’immagine dei genitori biologici da parte della famiglia adottiva.

È quindi questa la sfida dell’adolescente e, in modo ancor più particolare, dell’adolescente adottivo. Andare alla ricerca di una risposta alla domanda “chi sono io?”, per poter rivivere al di fuori dall’età infantile. Questo passaggio fondamentale ha a che fare con il potersi pensare dentro alla relazione con la famiglia (Andolfi, Mascellani, 2010), con l’integrazione di continuità e discontinuità con la famiglia d’origine e con quella adottiva, con la costruzione di profonde connessioni con il passato.

I figli adottivi devono, nel loro processo di crescita, gradualmente sentirsi figli di una storia, tenendo dentro tutte le parti di sé, la doppia appartenenza e il bisogno e la spinta alla differenziazione.

(L’articolo è composto da alcune parti, estratte dall’autrice, della propria tesi di specializzazione in psicoterapia sistemico-relazionale presso l’Istituto di Terapia Familiare di Bologna)

 

Bibliografia:

  • Andolfi, M, Chistolini, M, D’Andrea, A. (2017). La famiglia adottiva tra crisi e sviluppo. Franco Angeli, Milano
  • Andolfi, M., Mascellani, A. (2010). Storie di adolescenza. Esperienze di terapia familiare. Raffaello Cortina, Milano
  • Baldascini, L. (1996). Vita da adolescenti. Gli universi relazionali, le appartenenze, le trasformazioni. FrancoAngeli, Milano
  • Bowen, M. (1976). Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare. Astrolabio, Roma
  • Bowlby, J. (1988). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina, Milano
  • Brodzinsky D.M., Schechter M.D., (1990) The psychology of adoption, Oxford University Press, Oxford.
  • Cigoli, V. (1992). Lalbero della discendenza. Clinica dei corpi familiari. FrancoAngeli, Milano
  • Framo, J. (1992). Terapia intergenerazionale. Un modello di lavoro con la famiglia d’origine. Raffaello Cortina, Milano 1996.
  • Francini, G. (2019). La genitorialità tra complessità e famiglia in movimento. La sfida per la terapia familiare. In VV. (2019). Atti del Congresso AITF “Essere genitori: la dimensione parentale della personalità”. In Riga, Bologna
  • Giacometti, K., Mazzei, D. (2011). Il terapeuta sistemico-relazionale. Itinerari, mappe e nessi tra interazioni e rappresentazioni. Franco Angeli, Milano
  • Scabini, E., Cigoli, V. (2000). Il famigliare. Legami, simboli e transizioni. Raffaello Cortina, Milano
  • Stroppa, A., & Casonato, M. (2016). Adolescenza e adozione. In Vivere lAdozione con il Corpo e con la Mente (pp. 75–93). Edizioni Mercurio, Vercelli
  • Toscani, T. (2019). La relazione al centro della cura del trauma psichico. Il ragionamento clinico in psicotraumatologia integrato con l’orientamento sistemico-relazionale. In Riga, Bologna
  • Vadilonga, F (a cura di) (2010). Curare l Modelli di sostegno e presa in carico della crisi adottiva. Raffaello Cortina, Milano
  • Winnicott, D. W.,(1965) Sviluppo affettivo e ambiente. Armando Editore, Roma 1970

 

Share this Post!
error: Content is protected !!