di Primavera Fisogni
Il metodo Emdr e la particolare temporalità dei traumi
Con l’acronimo Emdr ci si riferisce alla metodica psicologica che opera su traumi recenti o remoti tramite la «desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari» degli eventi trascorsi[1]. L’approccio, frutto di un’intuizione della psicologa americana Francine Shapiro, si è imposto da oltre vent’anni anche nel nostro Paese come efficace risposta al disagio dei pazienti[2] in trattamento, nonostante non manchino critiche sull’efficacia e sulla scarsa robustezza dell’impianto teoretico[3]. In particolare, la metodica è stata applicata in larga scala sulla popolazione colpita dai terremoti che hanno interessato il nostro Paese, da quello del Molise del 2002, dell’Emilia Romagna del 2012 fino ai sismi recentissimi che hanno devastato l’Italia Centrale tra l’agosto e l’ottobre 2016. Un report di grande interesse, relativo all’esperienza emiliana, è scaricabile dal sito www.emdritalia.it, mentre su Facebook Emdr Italia sono a disposizione interviste, video e testimonianze dai territori colpiti di Marche, Umbria, Lazio: materiali di grande impatto emozionale, oltre che di indiscusso interesse scientifico per la diffusione, nonché la conoscenza di una metodica dalle vaste implicazioni antropologiche, non meno che filosofiche, come si propone di suggerire questo articolo.
Al cuore dell’Emdr vi è la scoperta che la stimolazione bilaterale del sistema nervoso centrale, tramite i movimenti oculari (o il tamburellamento delle dita, oppure stimolazioni uditive), agisce su reti neurali ove si trova immagazzinata l’informazione (traumatica) in modo disadattivo, trasformandola in modo adattivo. Il ricordo traumatico viene modificato. Precisamente, il trauma di ieri perde, nell’oggi, parte del suo peso sulla vita psichica del soggetto, che ne è in tal modo alleggerito e, per così dire, liberato. Lo scongelamento produce una sorta di rifioritura del paziente, con la regressione dei sintomi di disagio psicologico (ansia, somatizzazioni, sentimento di de-realizzazione, stati depressivi).
Negli studi sull’Emdr, supportati da una consistente bibliografia di casi empirici, l’aspetto temporale della metodica resta pressoché inesplorato, specie in una prospettiva filosofica, nonostante esso partecipi a dare significato al nome e alla sostanza di tale agire. Ricordiamo che – Eye Movement Desensitization and Reprocessing – presenta una fibra eminentemente cronologica in quanto definisce un processo, una sequenza di fasi. Inoltre, che il trauma sia ravvicinato, remoto o obliato, esso resta confinato in un tempo, quel tempo la cui carica continua a promanare nell’attualità. In questo procedere vi è qualcosa in comune e molto di differente rispetto all’approccio psicoanalitico: da un lato, in entrambi si dà una regressione controllata, ma l’Emdr non «ricrea il passato»[4], semmai lo riprende per mano, per usare un’immagine dinamica, e lo conduce al presente, rendendolo attuale. Qui incontriamo un fattore di intersezione tra il metodo psicologico e la psicoanalisi: la possibilità di «rivivere nel presente esperienze passate», uno spazio in cui «si esplica il (…) potenziale terapeutico»[5].
Il tempo, nell’Emdr – non diversamente che nella terapia analitica[6] – gioca un ruolo decisivo nella cura del sintomo a cui si correla il disagio del paziente. Lo sforzo preminente della metodica in questione, nell’affrontare il trauma, consiste nel focalizzare l’immagine[7], riandando con la memoria a un evento vissuto, per poi lasciarlo fluire, facendo affiorare emozioni e dando un senso a quanto si sta attualmente vivendo. La rappresentazione del ricordo è dunque parte sostanziale della diagnosi e del trattamento, sebbene non esclusiva: la stimolazione bilaterale del sistema nervoso centrale, tramite i movimenti oculari (o il tamburellamento delle dita, oppure le stimolazioni uditive), opera sulle reti neurali, ove si trova immagazzinata l’informazione (traumatica) in modo disadattivo[8]. L’attività mnestica agisce sulla memoria, portandola all’ora nella presentificazione del ricordo.
Il ruolo dell’attenzione nel tempo dei ricordi
Ricordare è il primo gradino per prendere le distanze dal peso della memoria, di quella che preme – potremmo dire con Max Scheler[9] – sul nostro presente, condizionando in modo più o meno rilevante l’esistenza. Nell’Odissea, la rievocazione delle peregrinazioni del protagonista, nelle stanze dei generosi ospiti, risponde all’esigenza narrativa dell’intrigo, ma per chi narra costituisce una rigenerazione, l’alleggerimento di un fardello che pesa sull’anima e sulla coscienza. Il quale può essere svuotato soltanto attraverso la parola che, nel dargli corpo, lo rende presente ma insieme lo rinnova, allontanandolo, per renderlo epico e, in qualche modo, innocuo.
Di questo potere del ricordare, attraverso la narrazione, dà conto la pensatrice politica Hannah Arendt[10], che rinviene in esso l’unico strumento davvero efficace per affrontare il dolore del vivere. Per altro, proprio i poemi omerici portano a tema, nella poesia, la relazione tra dolore e ricordo, forgiando nel termine nostalgia la speciale sofferenza del ritorno (nostos + alghein): ne soffre Ulisse, nel suo peregrinare alla volta di Itaca; ma è un patire, il suo, intimamente implicato alla memoria. L’oblio soltanto garantisce la fine di una tale pena, tuttavia lo scotto da pagare è – come per i compagni nutritisi di loto[11] – la derealizzazione, lo straniamento, il non essere più in sé, non abitando più i luoghi della propria identità. Perché l’atto del ricordo è tanto importante?
Non soltanto perché rappresenta un evento, ma perché, in qualche modo, lo ricarica di tempo, lo fa ridiventare vita, rendendolo parte di quel fluire di cui il vivere è impregnato. E se come sostiene Ilya Prigogine[12] – «ricordare, adoperare la memoria, non ha nulla a che fare con la reversibilità del tempo» – nel fare memoria il tempo che si riapre, nell’attualità, è tempo nuovo. Ma come non si può donare sangue umano a una pianta, perché tale linfa vale soltanto per un individuo personale, così non è pensabile riassegnare un ritmo cronologico a qualcosa che non ne conservi, almeno in parte, l’impronta. Questo volgersi dentro di sé si può dire, con le parole di Edmund Husserl, una “funzione intenzionale”, tenendo presente che per il filosofo tedesco l’intenzionalità è precisamente un essere presente alla coscienza[13]. Altra cosa sono invece i “dati iletici”, i contenuti interiori che diventano materia di rappresentazione. I quali, tuttavia, non sono scissi dall’atto intenzionale: non sarebbe, altrimenti, possibile all’attenzione[14] conferire un nuovo essere al vissuto al quale si applica. Non riusciremmo a fare nostri, qui e ora, momenti del passato collegati a fatti. Non potremmo pensare a nulla di simile alla metodica dell’Emdr se non tenessimo in conto che proprio in virtù del nostro essere temporale abbiamo voce in capitolo sui contenuti della mente, quali sono le immagini.
«Grazie all’attenzione che lo coglie – scriveva Husserl – il vissuto acquista una nuova maniera d’essere, diventa qualcosa di “distinto”, di “rilevato” e questo distinguere non è, appunto, nient’altro che l’esser-colto, l’essere oggetto dell’attenzione» [15].
L’attenzione è un atto cognitivo, nella prospettiva teoretica del pensatore tedesco, implicato con la temporalità; agisce dirigendosi al vissuto, ma instaura un rapporto diretto con l’oggetto del vissuto. Potremmo dire che, come non vi è coscienza che non sia la coscienza di qualcosa, così non esiste atto intenzionale che non sia, al contempo, oggetto d’attenzione. La forza dell’atto attentivo, in chiave husserliana, può gettare luce anche sulle dinamiche dell’Emdr, favorendone la comprensione del rapporto con la temporalità. Essere attenti a qualcosa – notava Husserl – implica vedere il contesto in cui si inserisce la cosa intenzionata.
«In quanto faccio attenzione a questa pipa – scrive il filosofo, padre della fenomenologia moderna -, osservo improvvisamente anche il calamaio di lato, poi forse anche il coltello lì accanto, ecc., oppure odo contemporaneamente il fracasso di una vettura. Le differenze tra ciò che ho nel “centro visivi” dell’osservare e ciò che ne è fuori sono del tutto simili a quelle esistenti tra il veduto che fissiamo e quello che non fissiamo» [16].
Per capire in che senso l’attenzione partecipi a costruire un frammento di tempo nuovo, assegnando in qualche modo vita a un ricordo, Husserl precisa che il momento temporale viene colto e fissato nella coscienza. Trova così una giustificazione il legame tra attenzione e presentificazione. Il frammento del passato viene così rivivificato, sia nel contenuto, in qualche modo ampliato perché la visione coglie anche qualcosa che gli sta attorno (contesto), sia nella dimensione cronologica, in quanto, fissato nella coscienza, è assestato nell’ora.
Nell’Emdr si verifica una dinamica che richiama le intuizioni husserliane: più è raffinato il processo attentivo, più la componente “oggettiva” dell’evento vissuto torna in possesso del soggetto, con un surplus di dettagli derivanti dall’affinarsi della visione, nell’attenzione, in precedenza trascurati. Averne coscienza significa portare nell’ora quel passato o quelle porzioni, anche inattese, precedentemente trascurate, che oggi acquistano un senso particolare alla luce della ricerca del paziente. Con questo modo di procedere, inevitabilmente, l’attenzione può modificare il ricordo, ma non perché lo sottopone ad una sorta di photoshop mentale, bensì per la capacità di inquadrarlo in un punto di vista più comprensivo di quello dell’istante in cui la circostanza veniva vissuta. Tale ipotesi interpretativa, che intendo argomentare alla luce del rapporto tempo/senso in Husserl e tramite l’analisi di Scheler all’atto retrospettivo/rigenerante del pentimento va a integrare la tesi organicistica (R. Solomon, F. Shapiro, 2008) che spiega il cambiamento sulla base di un nuovo equilibrio neurobiologico. L’approccio filosofico, di cui si dà conto, inquadra la metodica e i suoi esiti nella più ampia cornice antropologica, con l’intento di una miglior comprensione del fenomeno. Perché, allora, a proposito dell’Emdr si può parlare di tempo “nuovo”, oltre che di una reale rigenerazione della memoria? Una risposta viene dall’interpretazione che D. N. Stern[17] dà del “tempo ora” (present moment), nella sua suggestiva rilettura della prospettiva husserliana. Il fenomenologo e psicoterapeuta americano, infatti, distingue tra inconscio (unconscious) e non-conscio (nonconscious), riferendo quest’ultimo al “tempo ora”. Esso consiste in momenti vissuti non consciamente, a livello implicito, che stanno in qualche modo tra le righe dell’esperienza intersoggettiva, a differenza dell’inconscio[18], soggetto alla resistenza psichica del soggetto. Tale idea di Stern rilancia, a giudizio di chi scrive, la teoria husserliana dell’attenzione, nella quale la dimensione temporale risulta implicata con la rappresentazione dell’esperienza vissuta (es: la pipa, gli oggetti intorno, il tavolo su cui poggia).
L’attenzione, come l’intenzione, in generale quegli atti mentali detti da Husserl cogitationes – in grado di conferire un senso alle cose – sono sempre tempo, per il pensatore tedesco. Non soltanto in quanto appartengono alla coscienza, la cui fibra è temporale, ma pure in virtù della modalità cronologica loro propria, cioè l’essere processi, con un inizio e una fine. La ricerca di senso, punto di forza anche della metodica dell’Emdr, che prevede l’osservazione e la valutazione del ricordo traumatico attraverso una rigorosa procedura, si ammanta perciò sempre, di una consistenza temporale. Per altro, secondo il filosofo Enzo Paci, il fatto che Husserl si fosse dedicato allo studio del tempo dopo aver affrontato temi di logica, dipendeva dalla scoperta che il senso non prescinde dalla temporalità[19]. Ciò che a Husserl stava a cuore era il rapporto tra la molteplicità delle cose e l’unità della conoscenza[20]: Paci rilevava finemente che ogni connessione, cioè «il problema della parte e del tutto» è «collegato al problema del finito e dell’infinito», alla temporalità come processo[21].
Si noti, per ora solo in termini generali, che l’Emdr opera ricostituendo connessioni di senso tra la memoria traumatica e l’attività mnestica delle reti neurali. Un argomento, questo, che ribadisce con ancora maggior forza la centralità della dinamica temporale nell’Eye Movement Desensatization and Reprocessing.
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Questo primo ordine di riflessioni porta a un guadagno: tutte le attività della coscienza, compresa la rimemorazione, operano nel e sul tempo. Il processo attentivo, nella prospettiva husserliana, svolge la funzione dell’ inventio, cioè scopre contenuti di senso in precedenza non focalizzati nell’esperienza del tempo presente. Questo recupero di dati si accompagna alla riapertura dell’evento in quanto tale. Si pone così in luce l’intima relazione tra attività mnestiche, ricerca di significati relativi a episodi del passato e carica temporale. Una dinamica che, affrontata sul piano fenomenologico da Husserl, sembra appartenere propriamente all’Emdr. Il prossimo passo dell’indagine consiste nel capire che tempo è quello della memoria, in particolare, di quella obliata.
Il tempo della psiche. Psicoanalisi e Emdr
A differenza dell’inconscio teorizzato da Sigmund Freud come atemporale[22], (almeno fino a quando è guadagnato alla coscienza[23]), la memoria affrontata dall’Emdr è in buona parte in possesso consapevole del paziente, al quale – non a caso – viene chiesto di indicare una serie di ricordi, dal contenuto positivo e negativo, sui quali lavorare: i primi servono a rinforzare le risorse interiori complessive, mentre i secondi sono la materia dell’azione terapeutica. Tuttavia, la modalità propria dell’Emdr, rivolta a scongelare frammenti traumatici non elaborati, suppone che parte della memoria, anche di quella di cui si ha cognizione, non sia consapevolmente in possesso del paziente, al momento della terapia. Tale fase non-conscia, altra dall’inconscio (Stern, 2004), anzi, costituisce nell’analisi il nucleo più sensibile del ricordo destabilizzante, quello propriamente da elaborare. Per decifrare sul piano teoretico tale dimensione non conscia può risultare proficuo il confronto con il tempo dell’inconscio, come viene portato a tema da Sigmund Freud. Nelle Minute teoriche per Wilhelm Fliess del 1897, Freud afferma:
«Il primo tipo di distorsione consiste in una falsificazione del ricordo mediante frammentazione, ove sono trascurati soprattutto i rapporti cronologici»[24].
Inoltre «le correlazioni cronologiche sembrano dipendere dall’atto della coscienza». Un’allusione al tema lo troviamo, per la verità, già in uno scritto del 1896 (Etiologia dell’isteria).
«Sembra quasi – scrive Freud – che la difficoltà di eliminare un’impressione attuale, l’incapacità di trasformarla in un ricordo inoffensivo, dipenda proprio dal carattere dell’inconscio psichico». [25]
Un successivo commento è proposto nel saggio L’interpretazione dei sogni (1899):
«E’ esatto – sostiene Freud – che i desideri inconsci rimangano sempre attivi. Essi rappresentano vie praticabili ogni qualvolta un quantum di eccitamento se ne serva. E’ addirittura un carattere preminente dei processi inconsci quello di rimanere indistruttibile. Nell’inconscio nulla può essere portato a termine, nulla è trascorso o dimenticato (…)».[26]
In L’inconscio (1901) Freud nega in modo perentorio la temporalità dell’inconscio:
«I processi del sistema Inc sono atemporali, cioè non sono ordinati temporalmente, non sono alterati dal trascorrere del tempo, non hanno, insomma, alcun rapporto con il tempo. Anche la relazione temporale è legata al lavoro del sistema C (conscio, nda)». [27]
Un ulteriore riferimento alla a-temporalità si rinviene in Al di là del principio di piacere, come critica della teoria kantiana del tempo come un a priori.
«A questo punto – ammette Freud – mi permetterò di toccare brevemente un argomento che in verità meriterebbe di essere trattato nel modo più approfondito. Sulla base di alcune scoperte psicoanalitiche, oggi la tesi kantiana che il tempo e lo spazio del nostro pensiero, può essere messa in discussione. Abbiamo appreso che i processi inconsci sono, di per sé, atemporali. Ciò significa, in primo luogo, che questi processi non presentano un ordine temporale e che il tempo non li modifica in alcun modo, che la rappresentazione del tempo non può esser loro applicata». [28]
In Nota sul notes magico (1924) la rappresentazione del tempo, secondo il padre della psicoanalisi, è l’esito della discontinuità tra conscio-inconscio, come se l’inconscio
«(…) avvalendosi del sistema P-C protendesse delle antenne al mondo esterno, che vengono poi rapidamente ritratte indietro non appena hanno assaggiato gli eccitamenti». [29]
Ritroviamo l’idea dell’assenza di coordinate spazio temporali inconsce in Nuovi consigli sulla tecnica del 1927. Pur nella complessità di una posizione mai rigorosamente chiarita in modo monografico, la prospettiva freudiana circa il tempo dell’inconscio appare orientata a negarne la consistenza ontologica. In qualche misura, proprio la metodica psicologica Emdr si presenta come la critica più radicale al costrutto freudiano, per altro soggetto a interpretazioni molto elastiche o possibiliste. Se per Freud l’atemporalità dei processi inconsci giustificano la durata dell’analisi[30], nell’Emdr l’intervallo cronologico tra la seduta e l’evento traumatico è un fattore decisivo nella terapia: se affrontato nelle 48 ore successive, infatti, può essere risolto con una sola seduta, come è stato documentato, ad esempio, dopo il naufragio della nave Concordia (4 febbraio 2012). Si può obiettare che in questa circostanza il terapeuta ha a che fare con un contenuto conscio. Ma non si dimentichi che anche traumi recentissimi conservano una parte di memoria inconsapevole – congelata – che è all’origine del disagio, sulla quale il terapeuta fa leva per la guarigione. La vicinanza temporale con l’evento consente al paziente una più lucida chiarificazione dei dettagli impliciti, che facilita il processo attentivo e adattivo. Per altro, lo stesso Freud riconosce all’attività che conferisce senso a un ricordo (anche inconscio) un’azione rigenerante sul piano temporale.
«L’offesa patita 30 anni prima ha 30 anni; quando si è aperta la via alle fonti effettivamente inconsce (essa ha, nda) l’effetto di un’offesa recente. Ogni qualvolta ne tocca il ricordo, essa rivive e si dimostra carica di eccitamento»[31].
L’interesse del metodo Emdr, nella prospettiva degli studi filosofici sul tempo, partecipa a sollevare un interrogativo, la cui chiarificazione si annuncia proficua anche per comprendere la metodica psicologica: quando il trauma è congelato dalla psiche, anche il tempo di quel vissuto lo è?
Se ci poniamo nella prospettiva di Freud, soltanto la coscienza conferisce tempo, in virtù del processo di significazione: dire “io”, in qualche modo, implica di essere qui e ora, di essere stati prima e di poterlo essere anche poi. Tuttavia, questa idea presenta un lato aporetico: essa è valida soltanto se non si dà l’esistenza di alcun altro sistema che precede o integra la coscienza. Ora, l’atto attentivo rivela – nella prospettiva husserliana (si pensi all’esempio della pipa) – se riferito ai ricordi, che la persona ha immagazzinato contenuti contestuali, a margine dei dati principali nei quali sembra risolversi (erroneamente) l’esperienza coscia. L’insieme di questi dettagli (tavolo, oggetti di contorno, etc) non è inconscio, quanto una realtà non conscia (almeno fino a che l’attenzione non si focalizza sul ricordo) entro un quadro dotato di un certo grado di consapevolezza. Dunque, come rileva V. Melchiorre «proprio in forza dell’unità ritenzionale sarebbe più giusto parlare di preconscio (…) converrà parlare, in prima istanza, di un’originaria tensione tra coscienza e precoscienza».[32] Così, se consideriamo il preconscio, in cui si collocano vissuti che possono aprirsi alla coscienza, in quanto acquisiti dal soggetto, seppur in modo implicito (non-conscio), dobbiamo concedere che tali elementi sono intenzionali (in senso husserliano), ovvero presenti alla coscienza. In essi vi è temporalità almeno quanto c’è significato.
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Il confronto con la psicoanalisi permette di focalizzare, da un lato, il lavoro operato dall’Emdr sulla componente non conscia del ricordo, che risulta primario ai fini terapeutici. Frammento congelato, in quanto non elaborato, dell’evento traumatico, esso è strettamente implicato con rappresentazione e temporalità: l’attenzione, nel riconsegnare all’attualità questi contenuti, restituisce alla situazione traumatica una maggiore (o completa) definizione. Così finito il ricordo doloroso viene riadattato nel flusso esistenziale della persona, senza per questo essere obliato, come invece si propone il trattamento psicoanalitico[33]. Ma come si giustifica, sul piano filosofico, un processo corroborato dall’efficacia delle risultanze empiriche?
La temporalità dell’Emdr: implicazioni filosofiche
Alla luce di quanto si è visto, l’Emdr si presenta, per la ricerca sul tempo in filosofia, come una modalità interessante per «ricostruire la fenomenologia della memoria sulla conquista della distanza temporale» auspicata da Paul Ricoeur[34]. Questo metodo terapeutico mostra una profonda consonanza con la temporalità dei vissuti, in cui la centralità del presente non significa il trionfo dell’attimo o del tempo ora (come lo Jetz Zeit di W. Benjamin[35]) quanto piuttosto la compresenza di passato (ritenzione) e futuro (protensione) nell’esperienza attuale.
Se a Husserl si deve la teorizzazione della densa unità temporale costituente il vissuto (erlebnis), che si colloca nel flusso vitale, va attribuita a un altro pensatore tedesco – Max Scheler – l’applicazione di questo modello alla fenomenologia della persona. A questo punto dell’indagine, mi propongo di comparare le riflessioni del fenomenologo tedesco con il metodo Emdr. Se, da un lato, le scoperte di Scheler possono gettare luce sulla specifica temporalità della metodica, più in generale si comprende quanto possa risultare proficuo il dialogo tra i due saperi umanistici, la psicologia e la filosofia. È in particolare nel saggio Pentimento e rinascita che Scheler formula un’ipotesi di riapertura del passato che può essere letta come una sorta di suggestiva anticipazione teorica alle risultanze sperimentali del metodo Emdr.
Il filosofo tedesco[36] godette fama di straordinario pensatore, al suo tempo, per la vastità degli interessi in campo antropologico e per il carisma comunicativo, superiore anche a quello che successivamente sarebbe stato attribuito a Martin Heidegger. Nel riconoscerne il valore delle scoperte, un’altra grande mente attiva a Gottinga, Edith Stein, gli contestava la robustezza degli argomenti, a suo dire non sempre all’altezza delle intuizioni[37]. Tra gli scritti dell’autore di L’etica materiale e l’etica dei valori che continuano ad essere studiati e a riservare spunti degni di approfondimento, specie nel dominio dell’etica, va annoverato il breve saggio Pentimento e rinascita[38]. Nel breve fascicolo Scheler propone un modello di attualizzazione del passato. Il filosofo sostiene che il pentimento produce un rinnovamento radicale nella persona, dal momento che esso ha il potere di rimettere mano al senso parziale della vita di ciascun essere umano, alla luce di un senso totale non definito fintanto che si svolge l’esistenza[39]. L’analisi di quel particolarissimo moto della coscienza a cui si dà il nome di pentimento, si accompagna alla scoperta di una temporalità non più legata al continuum, bensì alla densità dell’ora, sperimentato dalla persona, nucleo attivo di sentimento, volontà, intelligenza. Scheler, in particolare, paragona la vita che uno ha vissuto ad un segmento V-Z, nel quale «ogni esperienza abcde può diventare nuovamente ‘efficace’ su g e su tutte le esperienze successive». Se questo si verifica, è proprio in virtù del fatto che il senso e il valore di un’esperienza continuano anche al di là dell’evento fattuale. In virtù di questa carica ermeneutica «lo “stato di fatto storico” è incompleto e, per così dire, redimibile». Egli afferma:
«(…) non la realtà, bensì il senso e il valore del tutto della nostra vita si trovano ancora nella nostra libera sfera di potenza, in ogni momento della nostra vita. Non disponiamo soltanto del nostro futuro; non vi è alcuna parte della nostra vita passata, la quale – senza che certamente fosse possibile modificare liberamente le componenti concluse in sé»[40].
L’argomento attorno a cui ruota il ragionamento è un’idea di tempo esperienzialmente vissuta, consistente in istanti tra loro interconnessi, come in un sistema, così che ciascun frammento non soltanto partecipa alla dinamica dell’insieme, ma in qualche modo lo fa proprio. L’intuizione fenomenologica avalla la possibilità di intervenire anche su ciò che è stato, non per modificare l’evento, ma per riaprirlo e renderlo nuovamente efficace nel presente. In questo modo si spiega la dinamica di atti quali il pentimento, che favoriscono una rinascita dell’essere personale. Non vuole dire Scheler che vi siano margini di modifica della vicenda passata («certamente tutto ciò che appartiene ai fenomeni naturali nella morte di Cesare è tanto finito e invariabile quanto l’eclissi solare prevista da Talete»[41]) quanto portare alla luce la potenza ermeneutica del pentimento, atto in cui il ricordo si accompagna alla rigenerazione personale. Vediamo ora quando si verifichi, e come, questa riapertura.
Dopo aver esortato a non confondere il pentimento con altri consimili (come il rincrescimento o il desordre du coeur), Scheler evidenzia che esso incide sulla colpa (cioè sul senso e non sull’azione commessa). Mediante l’autoanalisi si alleggerisce la coscienza, non per un generico effetto psicologico, quanto piuttosto perché si è tolto – quasi anche fisicamente – qualcosa che pesava sul nostro essere. Ma come succede che episodi del nostro passato si allontanino, effettivamente, dal centro attivo dell’Io? Scheler indica nel ricordo «l’inizio della libertà dell’essere e del venire ricordati»[42].
Non si tratta, comunque, del semplice “far memoria” di qualcosa. Nel suo saggio Scheler sostiene che il ricordo efficace è il ricordo originale, cioè quello in cui «si trova un possesso dello stato di fatto stesso (…) un vivere e un immanere in esso, non il possesso di una raffigurazione presente, che solo tramite un giudizio possa venire rilanciato nel passato e colà ‘accettato’».[43] Questo ricordo originale sembra capace di riproporre il vissuto tutto intero, come percezione e rappresentazione. Si noti che la distinzione operata da Scheler tra ricordo originale e ricordo come semplice «raffigurazione del ricordo» richiama da vicino la lezione husserliana del ricordo primario (ritenzione) e secondario (rimemorazione): la ritenzione viene definita come una coda di cometa che si associa via via alla percezione; in essa il ricordato «sprofonda sempre più nel passato»; ma non solo: esso è necessariamente qualcosa di sprofondato, che nel condurre a un «“ora” dato di nuovo»[44]. Nella rimemorazione o ricordo secondario, «il passato è ricordato, presentificato. Ma non realmente presente, non è un passato percepito, dato primariamente, intuito».[45]
Pur impiegando espressioni di marca husserliana, Scheler procede su una strada originale: elabora, se non un modello, una bozza della fenomenologia della riattualizzazione del passato. Il suo argomento, per sintetizzare, si muove su questi presupposti: l’uomo è persona, cioè un nucleo di attività intellettive, sensitive, spirituali; da questa costituzione dipende la possibilità non solo di fare esperienza del mondo (quindi anche di fare il male e di sbagliare), ma anche di cogliere/attribuire un senso e un valore al proprio agire. Questo fa sì che si possa avvertire il peso della colpa, in talune circostanze. La coscienza suscita il ricordo originario, mettendo la persona di fronte alla gravità dell’azione passata. L’effetto è che l’Io, il soggetto di azioni di oggi, riguarda all’Io di ieri. L’assunzione della responsabilità fa sì che ciò che è stato si rigeneri nel presente. Per concludere, ecco come Scheler spiega questo passaggio carico di speranza:
«Il vero e proprio oggetto di pentimento è però del genere di memoria di funzione (…) non è qui l’azione del passato svelatesi nel ricordo, cioè il contenuto di valore negativo che abbiamo compiuto nell’azione, bensì riviviamo quell’Io parziale della nostra persona totale dalle cui radici scaturì l’azione e l’atto di volontà (…) Soltanto partendo da un diversamente forte prevalere dell’oggettivo comportamento negativo dell’Io agente e dell’Io parziale passato si può parlare di un ricordo pieno di pentimento».[46]
Assumere un ricordo, nella dinamica della persona, significa agire. Pentirsi implica non soltanto riconoscere un errore, ma soprattutto cercare una riparazione, proiettandosi intenzionalmente a un atto, un nuovo agire entro cui sia compreso quanto è stato fatto nel passato[47].
Riflessioni conclusive
Cercherò ora brevemente di comparare le intuizioni di Husserl sul tempo della coscienza e la riflessione di Scheler sull’atto retrospettivo/rigenerante del pentimento con le risultanze del metodo Emdr. In primo luogo, in entrambe le esperienze retrospettive/rigeneranti si tratta di un volgersi a circostanze che continuano ad agire nel presente, in modo disturbante. Il presupposto teorico – di matrice husserliana – è che il tempo vivente proceda come in flusso in cui (si collocano e) interagiscono gli istanti, un insieme di presenza, ritenzione, protensione. Perché vi sia autentico pentimento, occorre che venga avvertito il peso della colpa, quasi una sorta di “macigno” gravante sulla coscienza. Si tratta, perciò, di un’esperienza che incide nella cosiddetta normalità dell’esistenza come una frattura: è precisamente una discontinuità a smuovere l’attenzione verso il passato. La persona soffre il peso della colpa, situazione che ricorda lo stato di emergenza teorizzato da Walter Benjamin[48], la circostanza che induce a volgersi al passato. Anche nell’Emdr il terapeuta agisce su un onere gravante sulla persona, un peso psicologico, frutto di una risposta disadattiva a un evento traumatico. Come il senso di colpa, il trauma congelato richiede di essere elaborato.
In secondo luogo, sia nella fenomenologia del pentimento, quanto nell’Emdr, la riapertura del passato avviene mediante un’attività mnestica non rapportabile al semplice ricordo, bensì ad un livello più originario, quello della presenza intenzionale alla coscienza che consente di incidere sulla realtà stessa dell’evento. Sul fatto in “carne e ossa”, per dirla con un’espressione cara a Husserl, la cui idea di rimemorazione ritorna nel ricordo originario di Scheler.
In terzo luogo l’azione ermeneutica – la ricerca di significato, l’interrogazione verso se stessi, la decifrazione dell’agire di allora – viene percepita e realmente agita come un riandare effettivo al vissuto. L’attenzione ferma, in qualche modo, frammenti di esistenza passata, portandone alla luce gli aspetti impliciti, non precedentemente esperiti. Qui si impone l’esperienza del tempo fatta da colui che si pente o da chi ha sofferto un trauma. Non soltanto il frammento svela l’interconnessione con lo stato presente, ma viene rivissuto per quello che era: la persona rientra nel processo dell’esistenza, mediante l’esperienza dell’interazione degli istanti temporali. O, come riconosce Scheler «ogni esperienza abcde può diventare nuovamente ‘efficace’ su g e su tutte le esperienze successive». In quarto luogo sia Scheler, sul pianto teorico, sia l’Emdr sul piano empirico, portano alla luce il ruolo decisivo, sebbene non sufficiente del ricordo.
«La nostra natura possiede (…) meravigliose forze in sé per liberarsi dalla efficacia lontana di uno o dell’altro anello della serie delle esperienze del nostro passato (…) il ricordo è già l’inizio della libertà dall’oscura potenza dell’essere e divenire ricordati. Essere ricordate – questo è il modo con cui le esperienze di congedano dal nocciolo della nostra vita (…) E’ il modo con cui si allontanano dal centro dell’Io (…) e con cui perdono la loro efficacia di urto».[49].
Nel ricordo viene persa “l’efficacia di urto” del ricordo, nota il filosofo. La medesima idea è veicolata dall’Emdr, che opera proprio sulla non elaborazione del passato traumatico da parte del sistema nervoso, delle emozioni e del versante cognitivo. Tuttavia, come si evince dal testo di Scheler, se è vero che «la storia conosciuta ci libera dalla potenza della storia vissuta», il tempo riguadagnato nel pentimento consente la rinascita personale soltanto se quel volgersi retrospettivo diventa pentimento, cioè genera un atto. L’istante riconquistato, alleggerito dalla colpa, assume pienezza di vita nel momento in cui porta a un cambiamento: quanto non si è fatto allora, è agito oggi. In Delitto e castigo di Feodor Dostoevskij questa dinamica è resa nella scansione esistenziale che porta Ras’kolnikov all’assumersi il peso del duplice delitto e alla confessione. Anche nell’elaborazione del trauma, mediante l’Emdr, si dà a vedere una dinamica che richiama quella del pentimento.
Il ricordo, affrontato in sede terapeutica, porta a risultanze impensate o ad agnizioni decisive, al fine del superamento della memoria dolorosa. Tuttavia, quel tempo così riconquistato, diventa un efficace alleato della guarigione del paziente quando viene riassestato nel flusso esistenziale, come se fosse la tessera che rimette in equilibrio il puzzle incompleto. Come avviene tutto ciò? E’ precisamente la fase in cui il terapeuta agisce sul sistema nervoso stimolando l’attività bilaterale delle reti, attraverso il movimento oculare o nei picchiettii. L’Emdr, mediante questa pratica, problematizza e avvalora, sul piano empirico l’idea – intuita da Scheler – che si possa avere voce in capitolo su istanti della nostra vita. I quali, in quanto vissuti, ovvero agiti nella pratica dell’Emdr continuano ad appartenerci, pur trascorsi: l’intuizione husserliana, sperimentata nel pentimento, mette in discussione la tesi recente secondo la quale l’Emdr rilanci un paradigma cronologico lineare, euclideo[50] (K. Cunningham, 2012). Nella prospettiva fenomenologica husserliana – che impregna anche il pensiero scheleriano – il flusso vitale è certo un continuo, ma nel quale si muovono, tra ritenzione e continua protensione, i singoli vissuti. Ed è questa dinamica temporale a due velocità, ma convergenti – rappresentabile come un nastro puntellato di ricami – che si giustifica, sul piano antropologico, la rigenerazione di eventi trascorsi.
Diventa più chiara, a questo punto, la precisazione di Scheler riguardo al pentimento come ad un atto di tutta la persona, non sovrapponibile al desordre du coeur, cioè uno stato emozionale. Non siamo di fronte a una mera rappresentazione, dal momento che la memoria viene agita, a partire dal peso della colpa, che la smuove (nel caso dell’Emdr sono i sintomi del disagio psicologico ad attivare il passato traumatico). In questa prospettiva il contributo del filosofo tedesco, a giudizio di chi scrive, integra e completa la teoria husserliana del ricordo. In altri termini Scheler assume l’idea del ricordo come realtà viva, per il suo essere presenza intenzionale alla coscienza, ma ne scopre l’autentica efficacia nell’istante preciso in cui tale memoria rientra nella vita della persona[51]. Proprio lo stesso messaggio sembra essere al cuore dell’Emdr e all’origine del processo di guarigione. Un percorso per nulla scontato, come lascerebbe pensare la prevalente lettura organicistica/neurovegetativa e biochimica dell’Eye Movement Desensatization and Reprocessing, che trova invece un’integrazione in un quadro antropologico di più ampio respiro, nel quale ogni frammento del passato esprime appieno la sua carica di tempo/senso soltanto se inserito appieno nella dinamica della volontà, all’origine dell’azione.
Bibliografia
Emdr, metodo e critiche
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- Shapiro, R. Solomon, EMDR and the adaptive Information Model, Journal of EMDR Practice and Research, II, 4, pagg. 315-322.
- Shapiro, The trauma treatment handbook: protocols across the spectrum, New York, Norton Professional Books, 2010.
R, Acierno, M. Hersen, V. Van Hasselt, V. Tremont & K. Meuser, “Review of the validation and dissemination of Eye Movement Desensitization and Reprocessing: A scientific and ethical dilemma”, in Clinical Psychology Review, 14, 1994, pagg. 297-308.
- B. Foa, T.M. Keane, M. Friedman, Effective Treatments of PTSD: Practice Guidelines from the International Society for Traumatic Stress Studies, New York, The Guildford Press, 2009.
- Schubert & C. W. Lee, “Adult PTSD and its treatment with EMDR; A Review of Controversies, Evidence and Theoretical Knowledge”, in Journal of EMDR Practice and Research, 3 (3), 2009, pagg. 117-132.
- Cunningham, Should We Be Triggered? NeuroGovernance in the Future (Tense), 1 aprile 2012, in www.socialtextjournal.org
- Fernandez, G. Maslovaric, M. Veniero Galvagni, Traumi psicologici, ferite dell’anima. Il contributo della terapia con Emdr, Napoli, Liguori Editori, 2011.
- Cantelmi, C. Cacace, E. Pittino, Maternità interrotte. Le conseguenze psichiche dell’Ivg, Milano, San Paolo, 2011, pag. 39.
- S. Schreiber, Guarire, Milano, Sperling & Kupfer, 2008.
Tempo e senso
Fonti
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- Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Milano, Franco Angeli, 1981
- Freud, Opere, XII voll., Torino, Bollati Boringhieri, 1996.
- Scheler, «Pentimento e rinascita», in L’eterno nell’uomo, Roma, Logos, 1991.
Studi
AA VV (a cura di A. Sabbadini), Il tempo in psicoanalisi, Milano, Feltrinelli, 1979.
AA VV, «Dall’inconscio alla relazione: un mutamento di prospettiva sull’ ‘oggetto psicoanalitico’», in Archivio di Psicologia Neurologia e Psichiatria, Milano, Vita e Pensiero, ott-dic 1983.
- Fisogni, La temporalità del senso, tesi di laurea in Filosofia teoretica all’Università Cattolica di Milano, 1999, relatore A. Bausola, correlatore G. Bettetini.
– Dehumanization and Human Fragility. A Philosophical Investigation, London, Authorhouse, 2013.
- Melchiorre, «Note di fenomenologia», in Il tempo della memoria. La questione della verità nell’epoca della frammentazione, Atti del secondo colloquio su Filosofia e Religione, Macerata, 16-18 maggio, 1985, Torino, Marietti, pagg. 299-300.
- L. Musatti, Freud (con antologia freudiana), Torino, Boringhieri, 1970
- Paci, “Tempo e relazione intenzionale”, in Husserliana. Tempo e intenzionalità, Padova, Cedam, 1960.
- N. Stern, The Present Moment in Psychoterapy and Everyday Life, New York, W.W. Norton, 2004.
- Perrone, Benjamin e il tempo della memoria, Milano, Mursia, 1985.
Altre opere citate
- Fisogni. L’inaridimento dei terroristi, Roma, Edusc, 2009.
- Papa in Nati per incominciare. Vita e politica in Hannah Arendt, Milano, Vita e Pensiero, 2011
- Stein, “Significato della fenomenologia come visione del mondo”, in La ricerca delle verità dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, Roma, Città Nuova, 2000.
[1]Trattamento d’elezione per la cura del Disturbo Post Traumatico da Stress (Ptsd), è stato impiegato come prima forma di intervento psicologico in tragedie e catastrofi naturali, dall’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle alle violenze della guerriglia in Honduras nel 2009 all’affondamento della nave da crociera Concordia nel 2012 in Italia. L’Emdr viene utilizzato anche per affrontare i disturbi psicologici insorti in seguito all’aborto. Si veda il recente T. Cantelmi, C. Cacace, E. Pittino, Maternità interrotte. Le conseguenze psichiche dell’Ivg, Milano, San Paolo, 2011, pag. 39. Mi permetto di rinviare il lettore al mio saggio inglese Dehumanization and Human Fragility. A Philosophical Investigation, London, Authorhouse, 2013 e al successivo eBook Ontologia della speranza, Gilgamesh Edizioni, 2014.
[2] D. S. Schreiber, Guarire, Milano, Sperling & Kupfer, 2008.
[3] Si vedano: R. Acierno, M. Hersen, V. Van Hasselt, G. Tremont, K. Meuser., “Review of the validation and dissemination of eye-movement desensitization and reprocessing: A scientific and ethical dilemma” in Clinical Psychology Review”, 14, 1994, pag. 297-298; S. Schubert & C. W. Lee, “Adult PTSD and its treatment with EMDR; A Review of Controversies, Evidence and Theoretical Knowledge”, in Journal of EMDR Practice and Research, 3 (3), 2009, pag. 117-132.
[4] Scrive A. Naumnun: «La terapia psicoanalitica, che si fonda sul modello della presentificazione del passato nella vita mentale, ha come uno dei suoi scopi, quello di indurre nel paziente una “regressione” controllata. Una serie di caratteristiche singolari, insolite nella comunicazione ordinaria, fanno del procedimento analitico l’unico strumento investigativo che ricrea il passato non come ricordo ma come strumento vivo». In AA VV (a cura di A. Sabbadini), Il tempo in psicoanalisi, Milano, Feltrinelli, 1979, pag. 22.
[5] In AA VV, “Dall’inconscio alla relazione: un mutamento di prospettiva sull’ ‘oggetto psicoanalitico’ ”, in Archivio di Psicologia Neurologia e Psichiatria, Milano, Vita e Pensiero, ott-dic 1983.
[6] Parliamo di un tempo non lineare e chiuso. «Se infatti il tempo fosse definitivamente determinato, definitivamente inaccessibile all’azione, a nulla varrebbero gli sforzi dell’analisi per sottrarre il soggetto al suo sintomo. All’inizio il soggetto domanda: com’è possibile rimediare a una mancanza che ha le proprie radici nel passato?». A. Perrella, Il tempo etico, Pordenone, Biblioteca dell’immagine, 1988.
[7] L’efficacia dell’Emdr consiste nel favorire «un rapido accesso ai canali associativi legati al ricordo preso di mira dal trattamento e permette velocemente il collegamento tra vissuti traumatici e conoscenze razionali», T. Cantelmi, C. Cacace, E. Pittino, Maternità interrotte, op. cit., pag. 41.
[8]La procedura esercita l’attivazione dei due emisferi cerebrali e per questo appare quanto mai adatta la definizione che ne dà lo psicoterapeuta Giuseppe Nava, di «fisioterapia del cervello». P. Fisogni, «Come il tempo si riapre nella cura dei ricordi», in La Provincia di Como, 2 marzo 2012, pag.43.
[9] «Essere ricordate – questo è il modo con cui le esperienze di congedano dal nocciolo della nostra vita (…) È il modo con cui si allontanano dal centro dell’Io (…) e con cui perdono la loro efficacia di urto». M. Scheler, L’eterno nell’uomo, op. cit, pag. 69.
[10] Il tema è affrontato da A. Papa in Nati per incominciare. Vita e politica in Hannah Arendt, Milano, Vita e Pensiero, 2011. Il dolore, per Arendt, può essere sopportato se raccontato, «alla sola condizione che non sia mai taciuto, ma sempre detto ad altri», pag. 48.
[11] Omero, Odissea,trad. R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, IX libro, vv. 82-104.
[12] Intervista a P. Fisogni, 31 gennaio 1999, a Como, riportata nella tesi di laurea La temporalità del senso, poi pubblicata nel 2003 su A Parte Rei.
[13] E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Den Haag, Nijhoff, 1976, “Husserliana”, vol. III/1; trad. it. Idee sulla fenomenologia pura e sulla filosofia fenomenologica Torino, Einaudi, 1981.
[14] Si veda E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Milano, Franco Angeli, 1981, op. cit., pag. 155.
[15] Ibidem, Appendice XII, pag. 155.
[16] Ibidem, pag. 173.
[17] D. N. Stern, The Present Moment in Psychotherapy and Everyday Life, New York, W.W. Norton, 2004.
[18] Inconscia è la «rappresentazione che non avvertiamo, ma alla quale siamo disposti ad attribuire un’esistenza in base a indizi e a prove di altro genere», in C. L. Musatti, Freud (con antologia freudiana), Torino, Boringhieri, 1970, pag. 80. Si veda naturalmente anche S. Freud, L’inconscio, VIII vol, Opere, a cura di C. L. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri, 1996.
[19] E. Paci, “Tempo e relazione intenzionale”, in Husserliana. Tempo e intenzionalità, Padova, Cedam, 1960, pag. 24.
[20] «La nostra coscienza complessiva offre, in ogni momento, una molteplicità nell’unità», E. Husserl, Per la fenomenologia interna del tempo, op. cit., pag. 173.
[21] Ibidem, pag. 24.
[22] A. Sabbadini, a cura di, Il tempo in psicoanalisi, Milano, Feltrinelli, 1978.
[23] «(…) le correlazioni cronologiche sembrano dipendere dall’atto della coscienza», S. Freud, Opere, op. cit., vol. II, pag. 62.
[24] Ibidem.
[25] S. Freud, Opere, vol. II, pag. 358.
[26] S. Freud, Opere, vol. III, pag. 527.
[27] S. Freud, Opere, vol. III,
[28] S. Freud, Opere, vol. IX, pag. 214.
[29] S. Freud, Opere, vol. IX, pag. 214.
[30] «L’abbreviazione della cura analitica rimane un legittimo desiderio (…) Ad essa si oppone, purtroppo, un elemento di grande rilievo, la lentezza con la quale si compiono modificazioni psichiche profonde, dunque, in ultima analisi, l’atemporalità dei processi inconsci», in S. Freud, Opere, vol. III, pag. 68.
[31] S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in S. Freud (a cura di C. Musatti), Opere, op. cit., pag 527.
[32] V. Melchiorre, “Note di fenomenologia”, in Il tempo della memoria. La questione della verità nell’epoca della frammentazione, Atti del secondo colloquio su Filosofia e Religione, Macerata, 16-18 maggio, 1985, Torino, Marietti, pagg. 299-300.
[33] «deve intervenire la psicoterapia», cui spetta il compito di «trovare soluzioni e oblìo per i processi inconsci». Ibidem, pag. 527.
[34]P. Ricoeur in AA. VV, Il concetto di tempo, Milano, Adelphi, 1998, pag. 47.
[35] W. Benjamin, Gessamelte Schriften, IV, 2, 910.
[36] Monaco 1874-Francoforte sul Meno 1928.
[37] E. Stein, “Significato della fenomenologia come visione del mondo” in La ricerca delle verità dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, Roma, Città Nuova, pag. 101.
[38] M. Scheler, “Pentimento e rinascita”, in L’eterno nell’uomo, Roma, Logos, 1991.
[39] Sul rapporto tra penitenza interiore e rigenerazione nella fede cattolica, si veda il Catechismo § 1431. «La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male».
[40] M. Scheler, “Pentimento e rinascita”, op. cit, pag. 68-69.
[41] M Scheler, “Pentimento e rinascita”, op. cit., pag. 69.
[42] Ibidem, pag. 69.
[43] Ibidem, pag. 68.
[44] E. Husserl, Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo, Milano, Franco Angeli, 1981, pag. 68.
[45] Ibidem, pag. 70.
[46] M. Scheler, “Pentimento e rinascita”, op. cit., pag. 73.
[47] Sulle dinamiche dell’atto umano, in particolare sul consenso, cuore della volontà, rinvio ai miei studi recenti, in particolare a P. Fisogni. L’inaridimento dei terroristi, Roma, Edusc, 2009.
[48] La Rivoluzione francese, ad esempio, comportò per Benjamin «un balzo di tigre nel passato» (tesi 14). Questo è «impadronirsi di un ricordo» (tesi 6). Per compiere questo salto deve succedere qualcosa, precisamente, si deve dare una situazione di emergenza. Ci si impadronisce di un ricordo «come esso balena nell’istante del pericolo» (tesi 6). Il ricordo (Andenken) non ha efficacia, in quanto è «il complemento dell’esperienza vissuta»; il vero balzo viene compiuto mediante la rimemorazione (Eingedenken), concetto che rimanda alla husserliana Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo. Siamo in presenza di una temporalità di «salvazione», precisamente di una redenzione (Rettung) in qualche modo vicina all’Augenblick del finale faustiano, un tempo denso di senso e un presente carico di aspettative. Si veda il saggio di U. Perrone, Benjamin e il tempo della memoria, Milano, Mursia, 1985.
[49] M. Scheler, «Pentimento e rinascita», op. cit, pag. 69.
[50] «Thus, Emdr restores the sense of linear, chronological, and a present that is “safe” (…) I’m safe because THAT was then and this is now», in K. Cunningham, Should We Be Triggered? NeuroGovernance in the Future (Tense), 1 aprile 2012, in www.socialtextjournal.org
[51] «Dopo le varie fasi di una o più sedute di Emdr, i ricordi disturbanti legati all’evento traumatico hanno un’alterazione. Il cambiamento è molto rapido, indipendente dagli anni che sono passati dall’evento». In I. Fernandez, G. Maslovaric, M. Veniero Galvagni, Traumi psicologici, ferite dell’anima. Il contributo della terapia con Emdr, Napoli, Liguori Editori, 2011, pag. 215.
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