di Lorenzo Giordani
Tra le più importanti scoperte letterarie degli ultimi anni spicca senza dubbio il ritrovamento in Francia delle carte e dei manoscritti di Louis-Ferdinand Céline, scrittore tra i più controversi, scandalosi e polemici del Novecento. A scoprirle e riportarle alla luce è stato il giornalista e critico Jean-Pierre Thibaudat. La vicenda è ormai nota quanto rocambolesca e stupefacente. Nel 1944, mentre Céline fuggiva in Germania insieme ad altri collaborazionisti nazisti, furono saccheggiati dal suo appartamento parigino di Montmartre in Rue Girardon da membri della Liberazione e della Resistenza francese molti manoscritti e materiali inediti tra cui anche foto e lettere. Di questa immane perdita si lamentò a più riprese lo stesso Céline che sottolineava in particolare di essere stato sottratto di un romanzo incompiuto Casse-pipe (che in francese significa “tritatutto”) che avrebbe formato una sorta di trilogia con le sue opere più celebri Viaggio al termine della notte (1932) e Morte a credito (1936). Nel novembre 2019, con la morte della moglie Lucette Almansor Destouches, il critico Thibaudat afferma di aver ricevuto da tempo i manoscritti céliniani con la promessa di non farli pubblicare prima della morte della vedova e di non rivelare l’identità del donatore. A seguito di tale rivelazione gli eredi di Lucette sono comunque entrati in possesso dei materiali e delle carte ritrovate dando la possibilità all’editore Gallimard di pubblicarle. Il primo di una serie di volumi, a cui seguiranno Londra, La volontà di Re Krogold e una versione più ampia di Casse-pipe, che usciranno in Italia per la casa editrice Adelphi, è Guerra (Guerre in francese), a cura di Pascal Fouché e con una premessa di Franҫois Gibault. La traduzione di Ottavia Fatica è risultata particolarmente complessa perché il romanzo è frutto di una scrittura rapida e grezza segno di una prima stesura che necessitava di essere revisionata e limata dall’autore per raggiungere la sua petite musique. Malgrado ciò Guerra appare a tutti gli effetti come un romanzo compiuto, autonomo e indipendente da altri affini per temi e vicende come il Viaggio.
La vicenda narrata ha evidenti elementi biografici ma, per quanto basata su fatti reali e vissuti dall’autore, se ne discosta, attingendo alla sua esuberante e incontenibile vena creativa e stilistica sempre al limite di una “visionarietà allucinata”. Tutto qui è enfatizzato ed esagerato per puro gusto romanzesco a partire dall’incipit in cui l’io narrante Ferdinand, alter ego dell’autore, afferma di essere stato ferito ad un braccio e alla testa con un proiettile mentre la lesione accertata di Céline durante la guerra (avvenuta il 27 ottobre 1914 nel corso di una missione nel settore di Poelkapelle nelle Fiandre Occidentali) fu una forte contusione al cranio dovuta al contraccolpo di un’esplosione che gli provocherà nevralgie e acufeni per tutta la vita.
In ogni caso la ferita alla testa diviene il vero e proprio leitmotiv del romanzo che come un ritornello incalzante accompagna tutta la narrazione. Si leggono infatti espressioni di questo tipo: l’ “orribile baccano che sfondava la testa, l’interno come un treno” (p. 25), il “rumore di tempesta che mi portavo appresso” (p. 27), “Pensavo che avrei risvegliato la battaglia da tanto rumore che facevo dentro. All’interno facevo pi rumore io di una battaglia” (p. 29), “Dentro la testa ero ormai solo una corrente d’aria di uragani” (p. 31), “rumori enormi nel mio capoccione” (p. 33), “l’uragano e il treno che mi fischiava nella testa” (p. 46), “quegli infami ronzii che mi facevano tremare tutta la capoccia” (p. 62), i “ronzii che mi tessevano intorno alla testa come un elmetto di frastuono quasi impenetrabile” (p. 95). La sofferenza e il dolore reale diventano così metafora e allegoria della guerra stessa che si è incancrenita nella mente dello scrittore tanto che lui stesso afferma sin dalla prima pagina: “Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa” (p. 26).
Molto significativa è inoltre la percezione che l’io narrante ha di sé e del suo corpo frantumato e dimidiato come se guardasse viversi (“Io la guardavo la vita, lì pronta a torturarmi” (p. 33)), o per meglio dire osservasse con occhio esterno il suo logorante deteriorarsi fisico che lo approssima alla morte. Si legge ad esempio: “Mi ero diviso il corpo in varie parti. La parte bagnata, la parte che era sbronza, la parte del braccio che era atroce, la parte dell’orecchio che era abominevole […] la parte del ginocchio che ogni tanto se ne andava per i cazzi suoi” (p. 30).
In mezzo allo sfacelo del corpo e della mente un sussulto di vita, come avviene spesso nelle pagine céliniane, è rappresentato dalle donne e dall’eros che esse scatenano, risvegliando l’uomo smarrito e perduto. Un eros quello dello scrittore non privo di descrizioni forti, dirette, senza fronzoli che mirano a sbattere in faccia al lettore l’unico antidoto alla morte e alla distruzione ossia la potenza dei sensi e degli istinti vitali e biologici. Mentre si trova a letto insieme ad altri feriti il narratore descrive così l’arrivo della signorina L’Espinasse, l’infermiera: “In quell’ombra mi sono visto passare sotto gli occhi uno strano gesto, molle e melodioso, che ha come risvegliato in me qualcosa. […] Era il braccio di una tipa. Il che malgrado tutto ha avuto un effetto imperioso sull’uccello. Con un occhio ho cercato la zona delle chiappe. Ho scoperto che ondeggiava quel sedere, qua e là tra i letti, su una stoffa bella tesa. Come un sogno che ricomincia” (pp. 32-33). Oppure, in un altro passo, la vista della prostituta Angèle, amante del compagno di camera Bébert da poco fucilato, è descritta così: “una rizzacazzi nata. Ti metteva il fuoco all’uccello al primo sguardo, al primo gesto. Anzi colpiva subito più nel profondo, fino al cuore se vogliamo, e addirittura fino all’intimo che non stai pi in fondo a tutto, perché è appena separato dalla morte da tre pellicine di vita tremule, ma che tremano così bene, così intensamente e così forte che uno non può fare a meno di dire sì, sì” (p. 77).
Eros e thanatos, vita e morte, duellano senza tregua e Ferdinand cerca di affermare la vita attraverso il sesso o aggrappandosi a scampoli di essa incarnati dal corpo femminile: “Dietro ai miei pezzi sanguinolenti immaginavo il suo culo [di Angèle] tutto teso di speranza. Rivedevo la vita” (p. 117). Angèle in particolare appare alla stregua di una divinità o di una creatura luminosa che attraversa i battaglioni a riposo come “incarnazione della gioia e della felicità” con le sue chiappe che disegnano un solco leggiadro “in mezzo a centomila chili puzzolenti di fatica stravaccati lì in ventimila uomini, assetati da morire” (p. 118).
Pur rappresentando la desolazione fisica e morale che la guerra infonde negli esseri umani, la vicenda si chiude con una speranza di un’esistenza diversa lontana dagli orrori del conflitto tanto che per la prima volta anche attraverso il frastuono della testa, Ferdinand percepisce come magnifico il suono della nave in partenza per Londra su cui si imbarca insieme ad Angèle. Così è descritto l’allontanarsi della nave verso una nuova vita con uno straordinario effetto cinematografico: “I due moli sono diventati minuscoli sopra ai cavalloni spumanti, strizzati contro il loro piccolo faro. Dietro, la città si è rattrappita. Poi si è sciolta nel mare. E tutto è precipitato nello scenario delle nuvole e l’enorme spalla del largo. Era finita quella porcheria, aveva [sparso] tutto il suo letamaio di paesaggio la terra di Francia, sotterrato i suoi milioni di assassini purulenti […]” (p. 133).
A corredo e arricchimento del volume troviamo inoltre la riproduzione fotografica di alcune pagine del manoscritto, testimonianza significativa della grafia di Céline e del suo modo di lavorare, un regesto dei personaggi principali che compaiono nel testo e note esplicative che permettono di collegare e mettere in relazione l’opera con gli altri romanzi dello scrittore.
La pubblicazione di Guerra rappresenta dunque un’ulteriore tessera del mosaico per comprendere e approfondire la vita e soprattutto l’opera di Céline che non lascia mai indifferenti stimolando una riflessione sull’assurdità e l’orrore della guerra, purtroppo sempre attuale, che lo stile espressionistico e grottesco dello scrittore francese riescono a descrivere in tutta la sua brutalità e insensatezza che come un cancro si annida nella mente e nel corpo.
Louis-Ferdinand Céline
Guerra
2023 Adelphi