di Carlo Bordoni
La mediazione di Berman
Perché una società liquida? Che cosa ha cambiato quel mondo solido, ordinato e sicuro che la modernità aveva creato stabilmente lungo tre secoli, trasformandolo in un fluido instabile, sfuggente, privo di punti d’approdo?
Le cause sono molte e ben note; non vi sono spinte occulte o forze oscure che abbiano tramato alle spalle della modernità per erodere alla base “tutto ciò che è solido” (per usare la terminologia di Marshall Berman): gran parte del cambiamento è stato fisiologico, quindi portato dalla naturale evoluzione delle cose. Altro è stato indotto dalla spontanea resistenza degli esseri umani ad agire di fronte a una minaccia che non appare ancora concreta, i cui effetti forse si sarebbero potuti sentire in tempi giudicati troppo lontani dal presente e dunque assolutamente ininfluenti.
Eppure negli anni Novanta, quando Bauman scriveva questi testi, i segnali erano già forti e chiari. Jeremy Rikfin indicava una prossima fine del lavoro, André Gorz aveva segnalato nel lavoro immateriale il futuro dell’economia mondiale, mentre Francis Fukuyama preconizzava addirittura un’apocalittica fine della storia. La globalizzazione era già una realtà e metteva in discussione la stabilità dei posti di lavoro per milioni di persone. Dietro tutto questo c’era la rapida evoluzione tecnologica, a cui era sempre più difficile stare dietro e che sfuggiva al controllo di un’umanità costretta a subirne i contraccolpi sul piano economico e culturale. Il personal computer e la rete avevano già fatto il loro ingresso con prepotenza nella vita delle persone, non erano più solo complessi strumenti di lavoro per grandi aziende, ma stavano diventando oggetti d’uso comune per i privati, cambiavano il modo di comunicare, di imparare, di lavorare e di divertirsi. Dietro ancora c’era un’altra grave crisi, forse meno evidente, ma non meno determinante per la società che la stava vivendo con una sorta di malcelata sufficienza: la crisi della modernità.
Come scriveva Marx, ripreso da Marshall Berman nel suo più famoso saggio, «tutto ciò che è solido svanisce nell’aria». Quasi un’anticipazione del concetto di liquidità, che arriva a Bauman attraverso Berman.
Benché non vi siano dubbi sull’influenza di Marx, Peter Beilharz suggerisce che «una presenza in assenza nella scrittura di Bauman era la figura e l’opera di Marshall Berman, specificamente in Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria; essa stessa una presenza ubiquitaria, un talismano e quasi una vacca sacra per gli studi culturali contemporanei di quel periodo. Marx era, per Berman, la figura perfetta della modernità e del modernismo, dove ambivalenza, ambizione ed entusiasmo per queste forme sociali si riversavano l’una sull’altra. Il compito di Berman era quello di cercare di tenere insieme queste tensioni, in modo che il moderno mantenesse il suo senso di promessa, così come la minaccia (e in effetti ci potrebbe essere più una promessa che una minaccia: la modernità, qui, era un vero piacere)».
Importanza dello stile tardo
Sullo “stile tardo” hanno scritto pagine illuminanti Theodor W. Adorno ed Edward W. Said. Lo stile tardo di Bauman, nel senso che gli attribuisce Keith Tester, sembra evidente soprattutto nelle ultimissime opere, da Stato di crisi a Retrotopia, dove le ripetizioni degli stessi concetti e la rielaborazione in forma didascalica di affermazioni precedenti prevalgono rispetto a nuove formulazioni. Traspare una certa stanchezza, ma anche un’ostinata coerenza con le formule precedenti: non solo il concetto di liquidità, riaffermato e radicalizzato nella nuova Prefazione a Modernità liquida del 2012, ma anche nei refrain sul divorzio tra potere e politica, il rifiuto del multiculturalismo, del postmodernismo e del mantra sull’esigenza che per risolvere problemi locali non servono soluzioni locali.
Resta rilevante l’idea dell’utopia come prodotto della modernità: «L’utopia – scriveva già in Socialismo, utopia attiva (1976, p. 25) – è un fenomeno assolutamente moderno». L’utopia fa parte del nuovo tempo che rivoluziona il passato e fa guardare al futuro con uno spirito positivo e progressista.
Riferimenti
Th. W. Adorno, “Stile tardo”, in Beethoven. Filosofia della musica, Einaudi, Torino 2001
Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2000.
Z. Bauman, Socialismo, utopia attiva, Castelvecchi, Roma 2018.
Z. Bauman, C. Bordoni, Stato di crisi, Einaudi, Torino 2015.
P. Beilharz, “«All That Solid…» Maelstrom and Modernity in Zygmunt Bauman”, in Revue Internationale de Philosophie, 3/2016.
M. Berman, Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna 2012.
F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 2011.
A. Gorz, Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Bollati Boringhieri. Torino, 2001.
J. Rifkin, La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Mondadori, Milano 2007.
E. W. Said, Sullo stile tardo, il Saggiatore, Milano 2009.
K. Tester, “Sociology: The Active Catastrophe”, in Revue Internationale de Philosophie, 3/2016.