EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Se perdo anche te

di Claudio Fratesi

Perdere è un concetto associato a pensieri negativi, ma non è sempre vero che sia portatore di sventura.

È qualcosa che ha a che fare con la sconfitta o è anche qualcosa legato al non avere più, al lasciare andare. Ma perdere è anche connesso al suo contrario e cioè all’avere.

Posso avere qualcosa di nuovo se perdo qualcosa di vecchio, come accadeva in alcune tribù indiane del Canada, ciclicamente bruciavano e regalavano tutti i loro averi, perché solo così potevano di nuovo diventare ricchi.

Perdere come sconfitta, Perdere come non avere più e Perdere per ottenere, per raggiungere qualcosa.

Tre concetti diversi ,opposti, ma  tutti includono un aspetto che è imprescindibile :il cambiamento.

La sconfitta e tra i peggiori cambiamenti possibili ,ci obbliga a ristrutturare le nostre gerarchie di obiettivi, ci obbliga a definire nuovi orizzonti o ci spinge a volte nella depressione nichilista.

Il non avere più può deprimerci , perdere un oggetto amato, una relazione amata è molto doloroso ma ci sono anche le perdite innominabili come perdere un figlio, qui  la realtà feroce della perdita non è accettabile e obbliga le persone malcapitate a convivere con l’inaccettabile.

Esiste anche la perdita come valore per  il raggiungimento di un obiettivo di una crescita.

Posso diventare adulto se perdo la fanciullezza, posso diventare un uomo migliore se perdo l’irrazionale impulsività animalesca, posso raggiungere livelli di valori umani più elevati se perdo il mio egoismo.

Affrontare la perdita è un percorso, un processo di crescita, un cambiamento di stato.

Se perdo mi innalzo come fanno le mongolfiere, perdo peso e raggiungo stadi più elevati.

Anche nella sconfitta bruciante si può scovare un insegnamento, un’indicazione verso la strada migliore, ritorna la dicotomia che accompagna la vita umana, l’ossimoro che  dà senso e sostanza alle cose: non c’è separazione senza appartenenza, non c’è piacere senza dolore, non c’è crescita senza perdita.

Due angoli apparentemente opposti ma necessari per delineare i contorni dello spazio in cui viviamo.

Eppure di fronte alla perdita diventiamo orbi verso il futuro e guardiamo solo il passato perso; grande rilevanza alla modalità di come vivremo la perdita, che sarà ricordiamo continua in tutta la vita, dipende in gran parte dalla famiglia nella quale siamo cresciuti:  che famiglia è stata ? Cosa ha trasmesso in termini di positività o negatività nei confronti della vita?

Quelle Famiglie resilienti che riescono a farsi forza anche di fronte alle tragedie trasmettono un senso di forza, infondono la capacità di affrontare le curve dell’esistenza, sono famiglie che non invocano la fortuna ma costruiscono la fiducia nelle proprie risorse.

Le famiglie funzionali sono famiglie capaci di adattarsi ai cambiamenti, capaci di sostituire le persone, ma non i ruoli.

Come le famiglie vittime dei terremoti, in pochi secondi perdono casa, averi e in molti casi  anche persone care, ma sono in grado di mantenere i ruoli funzionali che caratterizzano la sostanza di una famiglia.

Molto diverse e molto più fragili sono le famiglie incapaci di strutturare ruoli sani, incapaci di definire i confini tra un ruolo e l’altro .

Si tratta di famiglie cosiddette ‘ fuse’ dove ogni membro è poco definito emotivamente dall’altro, crescono in una dipendenza reciproca e nessuno è pienamente in grado di avanzare senza l’appoggio morboso, a volte conflittuale, di qualcun altro appartenente alla famiglia.

Queste famiglie ‘fuse’ affronteranno in maniera disastrosa ogni eventuale perdita e ogni cambiamento sarà vissuto come minaccioso, pericoloso, da evitare.

La crescita in queste famiglie sarà difficile, lenta, paurosa perché nessuno è in grado di sentirsi sufficientemente sicuro per affrontare gli inevitabili cambiamenti che ogni crescita comporta.

E allora ne consegue il terrore della perdita, la ricerca impossibile di mantenere inalterato l’esistente, quando al contempo tutto cambia e si trasforma giorno dopo giorno, tutto questo per il disperato bisogno di sicurezza che permea gli individui cresciuti in famiglie, fuse e disfunzionali.

Sul piano sociale la situazione si complessizza, l’orda consumistica ci spinge a rinnegare la perdita mediante l’acquisto e il possesso.

Nel reiterato incessante acquisto di  beni materiali, l’oggetto è dapprima reificato e subito dopo perso, abbandonato, privo di valore ,pronto ad essere necessariamente sostituito, rimpiazzato da un altro oggetto, che nel brevissimo tempo farà la medesima fine.

Non è il possedere il fine ultimo del consumismo ma l’acquistare come sinonimo di acquisire, in una incessante ruota dove si perde continuamente qualcosa che sarà rimpiazzato, forsennatamente nel più breve spazio di tempo possibile in un incessante finzione di progresso. 

1- Quando Elisa ,a 22 anni, si accorse di essere incinta ebbe un tonfo al cuore.

Era fidanzata da tre anni con un ragazzo più grande di lei Luca.

Fidanzata e innamorata  ma lontana dall’idea di diventare madre, aveva tanti progetti in testa e nessuno dei quali poteva realizzarsi se fosse diventata mamma.

Per qualche giorno non disse niente nella speranza che tutto si sistemasse da solo ma alla fine si decise a parlarne in famiglia e anche a Luca.

La risposta fu unanime “ Devi tenere il bambino”! Ma Elisa non voleva. 

Tutti contro ad eccezione di suo padre che silenziosamente, solo con lo sguardo, la capiva e sosteneva.

Una volta raggiunto il terzo mese di gravidanza non c’era più tempo per rimandare, Elisa si era rinsaldata nella sua volontà di interrompere la gravidanza, Luca era impietrito e la madre inferocita spedì la figlia dalla nonna materna in un paesino in collina.

Ma Elisa contro tutto e tutti ,quasi allo scadere del tempo permesso dalla legge, si recò in ospedale e abortì.

La reazione fu pesantissima: la madre tolse la parola alla figlia, per anni, Luca troncò di netto il  fidanzamento e il padre di Elisa divenne ricettacolo di tutti gli sfoghi arrabbiati della moglie.

Elisa realizzò un suo progetto si trasferì in Inghilterra per più di tre anni.

Quando, a 27 anni tornò a casa si presentò insieme a Paul, un giovanottone inglese che viveva nei dintorni di Liverpool.

Elisa informò tutti delle loro intenzioni di volersi sposare a breve.

Fu la mamma di Elisa, che era rimasta molto legata a Luca, ad avvertirlo del ritorno di Elisa e dell’imminente matrimonio.

Su richiesta di Luca Elisa accettò di incontrarlo per parlare,  si accorse in un attimo che per Luca non era passato un giorno, era rabbioso come tre anni prima.

Luca la fissò dritto negli occhi e disse “ Guarda che il giorno del tuo matrimonio verrò in chiesa con le fotocopie dell’ultima ecografia che hai fatto quattro anni fa e urlerò a tutti quanti quello che hai fatto”

 Elisa sbiancò e sentii lo stesso tonfo al cuore che aveva sentito anni prima quando aveva scoperto di essere incinta.

Non sapeva cosa fare, nei tre anni in Inghilterra aveva fatto tante esperienze e il passato le era sembrato molto lontano.

Ora si trovava di nuovo piombata anni indietro, Paul non sapeva niente della gravidanza, dell’aborto, di Luca e di tutta questa storia.

Non sapeva cosa fare,  le venne in mente un’idea strana,  quando si è disperati la mente produce spesso idee strane ,decise di andare a confessarsi da Don Giuseppe, il parroco del suo battesimo della sua Comunione e della sua cresima.

Raccontò a  Don Giuseppe tutta la sua storia e gli chiese se avesse voluto ancora sposarla.

Don Giuseppe le disse che i giudizi spettavano al padreterno e che lui l’avrebbe  sposata.

Don Giuseppe cercò di tranquillizzato Elisa le disse che il giorno del matrimonio lui stesso sarebbe andato tra le persone a cercare  Luca e che se mai l’avesse trovato lo avrebbe fermato nel fare quello che aveva minacciato di fare.

Ma Elisa non si era tranquillizzata, trascorse le settimane prima del matrimonio in un’ansia permanente, la mattina della cerimonia era talmente agitata che più volte pensò di mandare tutto all’aria.

Poi arrivarono gli invitati, anche una ventina di inglesi, Don Giuseppe come un poliziotto girava tra la gente che affollava la piccola chiesa. 

Alla fine le nozze furono celebrate, gli invitati a fecero l’applauso scrosciante ,il padre di Elisa commosso, la madre assente e di Luca nessuna traccia. 

2 – Dal racconto di Giorgio:

una mattina  trovai sulla cassetta della posta, all’epoca si usavano poco le mail, una lettera del mio più caro amico e rimasi sorpreso.

Andai di fretta al lavoro in ufficio e portai  con me la lettera che lessi nella pausa pranzo con un certo timore.

Il mio amico aveva scritto un elenco lungo di “ Ti ricordi quella volta che?” e concludeva con la solita frase “ Io e Anna quella volta siamo stati insieme, abbiamo fatto sesso”  e poi dettagli precisi sulle loro performance sessuali. “Ti ricordi quella volta al mare? Quando Anna sfoggiò quel bellissimo costume bianco ,glielo avevo regalato io dopo un pomeriggio di sesso”

“Ti ricordi quel convegno a Mantova, quello di tre giorni in cui sono andato io e Anna? Tutte bugie, niente Mantova, siamo stati in Liguria al mare, abbiamo fatto sesso per tre giorni” e giù particolari piccanti “Ti ricordi l’anno scorso, quando Anna temeva di essere incinta? Io tremavo perché in caso quel figlio sarebbe stato mio”

Finito di leggere ero semplicemente gelato, incredulo e mezzo morto.

 Il mio migliore amico mi aveva scritto tutte quelle storie, tutti quei particolari erotici e la protagonista era Anna, mia moglie.

Ritornai a casa,  non dissi niente consegnai la lettera ad Anna.

Lei scoppio a piangere “ Lo sapevo che avrei pagato a caro prezzo la cazzata più grossa che ho fatto nella vita”

Per un attimo ho pensato a quei mariti folli quelli che ammazzano le mogli ho anche pensato che l’unica soluzione, non la migliore ma l’’unica, fosse ammazzarmi perché avrei smesso immediatamente di soffrire.

Presi l’automobile e inizia a vagabondare senza senso e senza meta per ore, solo chilometri e chilometri di strada senza telefono, ero solo ed era meglio così.

Tornai il giorno dopo nel tardo pomeriggio, mio figlio quindicenne mi corse  incontro piangendo e anche Anna piangeva rannicchiata sul divano, non l’ho uccisa e non mi sono ammazzato.

Non ho più visto il mio ex caro amico, non ho voluto parlare con lui, ci siamo trasferiti in un’altra zona della città, abbiamo tagliato tutti i ponti con il passato.

Non ci siamo lasciati, oggi  nostro figlio ha 35 anni vive all’estero e sembra felice. 

Io e Anna dormiamo da allora in camera separate, usciamo alla domenica spesso per andare al cinema, alla sera a cena scambiamo poche parole.

Facciamo praticamente vite separate e poi ci si riaccende quando torna nostro figlio, stiamo bene in tre, chissà che idea si sarà fatto lui di noi.

All’epoca decidemmo di non lasciarci, per far crescere il figlio ci raccontammo, ma non credo che fosse solo per quello.

Qualcosa ci lega profondamente ma nello stesso tempo non riusciamo a fare un passo ,non riusciamo a prendere una strada, non abbiamo avuto più intimità dal giorno della lettera ,non abbiamo prospettive nel futuro, siamo fermi. 

Elena ha dovuto affrontare una molteplice perdita, la perdita del fidanzato, la perdita della madre, la perdita di alcuni progetti di vita e anche la perdita di un figlio.

Non è facile affrontare tutti questi fronti  di guerra affettiva  contemporaneamente

E’ vero che c’era lo sguardo impotente del padre, un sostegno morale, ma nulla di più.

Avrebbe potuto perdere anche se stessa i propri valori, le proprie speranze e si è trovata a fare una scelta dolorosa , lacerante tra due grandi perdite. Ha fatto la scelta e ha dovuto affrontare le conseguenze, lontana da casa ha potuto più facilmente proiettarsi nel presente e vivere una nuova vita, ma non ci sono sconti e appena  ritornata in Italia si è ritrovata immersa in un passato congelato colmo di emozioni inespresse.

La sua partenza repentina aveva bloccato il processo di elaborazione del lutto, la madre era ancora in trincea, Luca ultra  rabbioso e  il padre inesistente.

Tutto fermo da anni.

Bellissima la figura di Don Giuseppe, un uomo che ha incarnato la propria esistenza nei dettami rigidi  giusto/ sbagliato della Chiesa Cattolica ma anche una persona che riesce ad essere veramente uomo di Fede quando assolve Elisa e la protegge dalle minacce di Luca.

Don Giuseppe diventa genitore padre e madre di Elisa,  assume i ruoli che erano stati abbandonati  nella famiglia disfunzionale di lei. Probabilmente se Don Giuseppe non fosse diventato genitore ausiliario di Elisa, lei non sarebbe riuscita a fare il passo, probabilmente se ne sarebbe di nuovo scappata in Inghilterra e la sua vita avrebbe preso una strada diversa. 

Giorgio e Anna sono l’esempio vivente del tipo di  perdita assolutamente negativa quella senza sbocchi evolutivi, è il convivere con l’inaccettabile ,il loro stare insieme ha molti significati tra i quali spicca la non accettazione dell’accaduto e la ricerca di contenerlo.

Stare insieme, comunque ad ogni costo, ha anche il significato di squalificare l’accaduto, come fossero ancora in una fase resistente, la fae in cui si impiegano tutte le forze necessarie per reggere l’impatto dell’urto.

Tutte le forze sono impiegate per reggere e non disgregarsi , sono stati bravi genitori, sono riusciti  a contenere dentro i confini della coppia coniugale, le tensioni più forti e il loro  figlio sembra crescere bene, si sta costruendo una propria vita anche se probabilmente non è un  caso che viva lontano.

Giorgio e Anna non potranno continuare ancora a lungo in questa Danza Immobile, ci sarà un movimento centripeto o centrifugo rispetto alla loro relazione di coppia.

Se si costruiranno, ammesso che non l’abbiano già fatto ma ne dubito, delle relazioni alternative, potranno ancora reggere per un po’ di tempo senza cadere nelle somatizzazioni o in altre patologie psichiche ancora più gravi. 

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