EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Se un giorno, a Roma, un drone…

di Francesca Brevetto

È mattina in un giorno feriale a Roma. Immagino di essere un drone e sorvolare la mia città, cambiando punto di vista.  Nel vero senso della parola.

Quello che, abitualmente,  mi sembra “caos visivo”, fatto di auto e ingorghi disordinati che emotivamente mi provocano fastidio, dall’alto non sono altro che fasce lineari geometriche e colorate in lento movimento. Flussi e cromie che danzano insieme. Prima si avvolgono, poi si perdono per ritrovarsi attorno a figure ferme, normalmente percepite dal basso come pesante cemento che si eleva, incombendo sopra ogni cosa con la propria ombra e che, dall’alto, invece, assumono un’importanza secondaria e bidimensionale.

Cambiare il punto di vista è la chiave per osservare in modo completo una realtà, sia puntuale sia estesa e macroscopica, che parte dall’ edificio, si amplia al quartiere, si diffonde alla città perdendosi nei vuoti. Aiuta a comprendere che non c’è nulla che possa essere figurativamente fermato ad un’unica percezione. Quando si parla di Architettura , come di Urbanistica, non c’è un  punto fermo ma un dibattito aperto fatto di variabili.  Queste ci consentono, ogni volta, una diversa elaborazione di ciò che ci circonda, come estraniarci dal contesto, abbandonare i rumori e fluttuare nell’aria facendo divenire tutto leggero, calmo e sorprendentemente ordinato. Qui nasce il mistero che lega l’ordine al disordine e confonde l’uno per l’altro. Disordine inteso come  volontà di espressione artistica, quindi estetico, o disordine inteso come spontaneo ed involontario inestetismo. Ordine, come razionale scelta di forme pure, facilmente apprezzabili dall’occhio, e quindi appagamento estetico o come serialità brutale di elementi costruttivi, senza anima, destinati all’accalcamento forzato per il massimo profitto nel minimo spazio inestetico.

Ecco che dall’alto, quello stesso drone che passa sul caos urbano e le sue onde di danze multicolore, ora vede dissolversi la geometria regolare, lineare ed elegantemente in movimento, contro masse volumetriche che, da quassù, sembrano scogli contro cui le stesse onde cromatiche si infrangono. Sono discontinuità apparentemente disordinate del tessuto urbano ma progettate per un ordine estetico: l’Architettura.

Oggi siamo inclini ad accettare forme e masse architettoniche che fanno l’occhiolino al decostruttivismo, ma sono figlie dei virtuosismi dell’informatica. Si realizzano modelli di edifici e forme tridimensionali, sinuose e plastiche, che sfidano poi, nella realizzazione, la statica. Eppure la loro unicità, il loro staccarsi dal contesto esistente, enfatizzati da materiali che non hanno un linguaggio visivo consueto, gli conferiscono un’unicità estetica in cui risiede il loro prestigio. Da quassù si rileva la loro natura di discontinuità nel tessuto urbano, che devia il normale evolversi dei flussi e contribuisce a caratterizzare l’identità del luogo.

Luogo, del quale si potrà capire molto analizzando l’interazione tra ambiente naturale, ambiente costruito e le abitudini che queste sinergie creano in chi vive questi spazi. Non a caso si parla di Genius Loci  nella sua accezione più semplice riconducendolo allo “spirito del luogo” con cui l’uomo deve scendere a patti per abitarlo: « Il carattere è determinato da come le cose sono, ed offre alla nostra indagine una base per lo studio dei fenomeni concreti della nostra vita quotidiana. Solo in questo modo possiamo afferrare completamente il Genius Loci, lo “spirito del luogo” che gli antichi riconobbero come quell’ “opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare. » [1]

Schulz, non sostiene che in un determinato luogo esista una sola architettura possibile, tuttavia l’architettura deve interpretare ed essere compatibile con il luogo. Da qui la nostra riflessione apre strade verso una libertà di espressione che non ci blocca ad un’unica realtà e tantomeno visione.

La valenza onirica di questo non-uccello tecnologico, che sorvola ogni dove, ci ricorda che tutto può assumere un aspetto differente modificando il punto di vistama alla fine il telecomando lo guiderà al punto di partenza, dove ogni cosa ritorna all’ordinario e quello che resta è l’esperienza. Questa potrà farci affrontare quel dibattito aperto in un modo più ampio, senza dare per scontato il significato di ordine e disordine né cedere al banale qualunquismo della polemica sul caos urbano fatto di lamiera e clacson o sugli edifici improbabili che, come astronavi, atterrano nelle nostre città.

Io preferisco restare ancora un po’ in volo e avere un punto di vista distaccato. Percepire semplicemente le immagini e la musica che mi porto nella testa, dove tutto è meno definito, si perdono i contorni e si accentuano le mescolanze di colori.

1 Genius loci. Paesaggio ambiente architettura -1979-saggio di Christian Norberg-Schulz.

 

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