di Simona Gallo
Se c’è qualcosa di bello, qualcosa che riunisce in sé contrastanti sentimenti di paura, mistero ed inquietudine è il riflettere sulla nostra esistenza.
Quando ci domandiamo chi sono io? non intendiamo tanto sapere qual è la nostra professione e neppure quali caratteristiche mi distinguono dagli altri. La questione, evidentemente, è molto più profonda. Vogliamo sapere che cosa significa essere uomini e/o donne e scoprire la nostra unicità.
In questa indagine ci rendiamo conto dell’enorme peso che gravita intorno, della responsabilità che abbiamo nei confronti degli altri e di noi stessi.
Io sono io e, come tale, sono l’unico che avrebbe potuto fare le cose che ho fatto e nessuno mai potrà fare le cose che farò in futuro. In breve, ognuno è per se stesso il risultato di tutte le proprie scelte, dei desideri, delle speranze, delle sconfitte e delle vittorie, dell’ambiente in cui si vive e delle influenze degli altri su di noi.
Ogni mattina, di fronte allo specchio del bagno, ci fermiamo, facciamo luce, pensiamo, passiamo le mani fra i capelli, tiriamo le rughe sotto gli occhi e, infine, sorridiamo perché ciò che vediamo di noi è solamente una piccolissima parte; il resto di ciò che siamo è a nostra insaputa. Luigi Pirandello ne l’Avemaria di Bobbio faceva riferimento a ciò che chiamiamo coscienza: alla poca acqua che si vede nel collo d’un pozzo senza fondo.
L’autore che ha maggiormente approfondito il concetto di identità declinandolo in una prospettiva evolutiva è, senza dubbio, lo psicoterapeuta statunitense Erik Erikson. Egli utilizza, nella sua opera, contemporaneamente i termini Identity, Self, Ego, I e Me, per riferirsi sempre ad un unico concetto: il centro osservativo della consapevolezza, ossia alla coscienza di Sé come persona. Erikson è convinto che possa esistere, già dall’infanzia, una prima forma di identità dove si mette in atto un’ integrazione dell’Io, affinché si possa giungere ad una sintesi. Con lo sviluppo dell’individuo, questa prima identità si integra, gradualmente, con aspetti costituzionali, bisogni libidici, identificazioni significative, difese e, attraverso un continuo bilanciamento e ribilanciamento, tra ciò che appartiene a Sé, e alla sfera intrapsichica, e ciò che appartiene all’altro, si svilupperà un’identità adulta caratterizzata da stabilità e coesione. Il completamento di questo processo può avvenire solo al termine dell’adolescenza e prende il nome di processo di formazione dell’identità.
Erikson individua lo sviluppo dell’identità secondo una prospettiva stadiale: all’interno di ogni stadio c’è una sorta di superamento di una crisi. L’adolescenza è caratterizzata dal quinto stadio dove il dilemma è tra il “raggiungimento dell’identità o confusione di ruoli”. Se l’adolescente saprà superare questo stadio, l’identità raggiunta in età adulta sarà il risultato di una sintesi di tutte le identificazioni salienti esperite, dalle più infantili alle più recenti, dai rimandi sociali che l’adolescente riceve, dai suoi interessi, dalle amicizie che ha costruito e dal gruppo dei pari. Tale sintesi avviene proprio nel quinto stadio, l’adolescenza, perché, tra tutte le fasi della vita, questo è senza dubbio il tempo maggiormente caratterizzato da un’intensa attività di definizione e ri-definizione della propria identità.
Altri autori successivi hanno compiuto una meta-analisi proprio sui lavori di Erikson puntualizzando come l’identità non sia un fenomeno che emerge solo in adolescenza, ma come si sviluppi attraverso diversi stadi e possa essere continuamente ridefinita lungo tutto il corso della vita. La condizione ottimale che un individuo può raggiungere al termine dell’adolescenza è l’organizzazione di struttura dell’Identità che funga da base solida nel lavoro, nella vita affettiva, nelle relazioni, nel proprio orientamento morale ma in cui ci sia spazio anche per la flessibilità che garantisca una possibilità di adattamento agli eventi della vita. L’identità non è dunque immutabile, ma si trasforma.
Appurato, dunque, che l’identità abbia solide basi e contestualmente sia flessibile alle esigenze e situazioni esterne, la trattazione riporta necessariamente ad uno scenario complesso. In termini psicosociali l’organizzazione del nostro corpo, la razionalizzazione delle esperienze, la cultura e i contatti con gli altri, fanno sì che il concetto di identità indichi il soggetto nella sua totalità ed unicità. Avvicinandosi all’impostazione psicodinamica si preferisce parlare dell’Io invece che del Sé. In questo caso, l’Identità diventa l’Io con le sue articolazioni interne, con il nesso mente-corpo, il rapporto tra le varie parti della mente e il legame con gli oggetti esterni.
Al di là delle differenziazioni epistemologiche è opportuno chiarire che l’identità è contestuale e relazionale. Essa può variare in base al posto ed ai nostri interlocutori. E come se non bastasse, permane in noi un lato oscuro, che non si mostra mai a nessuno. Quel lato oscuro della luna che, spesso, è negato anche dal soggetto stesso.
Maupassant riporta la propria scissione psichica interiore attraverso la fantasticheria del doppio, descrivendo se stesso nell’atto di entrare nel suo studio e prendere posto di fronte a lui tenendo la testa fra le mani per dettargli tutto ciò che deve scrivere: al termine l’allucinazione scomparve e le pagine erano manoscritte.
Goethe quando riporta che durante una passeggiata a cavallo, vide, non con gli occhi del corpo ma con quelli dell’anima, un altro se stesso, vestito di un abito grigio che solo otto anni più tardi l’autore dirà di avere indossato.
Ancor prima Omero scriveva che nell’uomo abita un ospite estraneo, un doppio più debole, il suo altro io. Quando il primo giace inconsciamente nel sonno è il suo doppio che agisce e veglia.
Non si può che essere d’accordo con Simon quando coraggiosamente afferma che il lato oscuro è in ciascuno di noi. Nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo; in ognuno di noi ci sono entrambi i lati, sia pure in proporzioni diverse, ed una situazione imprevista può dare l’occasione all’uno o all’altro di prevalere.
Benché la maggior parte degli individui sappia frenare il proprio lato oscuro, sadico, violento e distruttivo non vuol dire che non sia presente oggi ed operante un domani. Rimane difficile la comprendere l’atteggiamento e la situazione psicologica che determinano questa scissione interiore e la conseguente proiezione. Il sintomo più evidente di queste reazioni pare essere il senso di colpa che induce a non assumersi la responsabilità di certi agiti addebitandoli all’altro io.
Questa situazione emerge in molte opere in cui la frequente eliminazione del proprio doppio è in realtà un suicidio reso indolore dal fatto che è un altro io ad essere ucciso, in quanto ci si vuole allontanare dall’io malvagio e che merita d’essere punito.
A questo proposito è affascinante l’analisi che a metà del XX secolo Otto Rank fa partendo dal film Lo studente di Praga. Il giovane Baldwin afferra l’arma e spara al suo doppio che scompare. Il giovane scoppia in una risata liberatoria ritenendosi al sicuro da ogni futuro tormento, ma avverte un acuto dolore al lato sinistro del petto, si accorge d’avere la camicia inzuppata di sangue e si rende conto di essere stato colpito. L’ombra è sparita perché l’uomo morto, giacendo, non getta più ombra sul terreno.
Del secolo precedente è Il ritratto di Dorian Gray in cui il protagonista decide di distruggere il dipinto che lo ritrae. I servitori troveranno in soffitta Dorian morto, pugnalato al cuore, irriconoscibile e precocemente avvizzito ai piedi del ritratto in cui pare essere ritornato meravigliosamente giovane e bello.
Il fil rouge è senz’altro la reazione all’altro sé e il riconoscimento che c’è qualcosa di inquietante, sinistro, non confortevole, sospetto, ambiguo, infido. In questo caso il Unheimliche non è nulla di nuovo, non proviene dall’esterno, anzi, è qualcosa che la vita psichica conosce sin dai tempi più remoti e che è diventato estraneo, nascosto a causa del processo di rimozione. L’elemento d’angoscia del perturbante è proprio nel fatto che, ciò che è stato rimosso per le sue caratteristiche antisociali, a volte ritorna e porta disagio semplicemente perché avrebbe dovuto rimanere nascosto.
Come sottolinea la psicoanalisi, tenere insieme tutte le parti è faticoso; non stupisce che, sedotti dalla possibilità di proiettare sull’altra immagine i nostri aspetti più scomodi, proibiti ed inquietanti, ricorriamo alla scissione come difesa.
Non sono stato io, è lui ad agire male! Io non volevo è la difesa più classica di chi, pur inconsciamente, ritiene che la propria identità sia formata da una coppia di opposti. L’Io e l’Ombra che Jung ha più volte descritto. Se la Persona è la maschera con cui ci si presenta al mondo, una seconda componente, ineliminabile e strutturale della personalità, è l’Ombra capace di influenzare il comportamento, pregiudicare le motivazioni e le decisioni coscienti.
Questo tutto, manifesto e nascosto, è copresente; va conosciuto per ottenere una maggiore consapevolezza di sé ed una relazione più autentica con gli altri, ovvero una definita identità.
L’Io va inteso come il complesso di rappresentazioni coscienti e permanenti in cui è riposta l’identità cosciente, con tutti i principi ed i valori accolti e riconosciuti anche nelle relazioni. L’Ombra è intesa come insieme delle possibilità di esistenza respinte dal soggetto come non proprie, in quanto considerate negative.
L’uomo che si identifica con la sua immagine pubblica trascurando la sua vita inconscia, fa sì che questa parte da lui ignorata venga fuori da sola con una forza esplosiva. L’Ombra diventa vorace e acquista potere portando la persona ad una progressiva destrutturazione e distruttività tale da boicottare e rovinare se stesso e le sue relazioni. Il mondo comincia sempre di più ad essere guardato e interpretato attraverso lenti alterate e malate che ne distorcono la forma e lo portano, sempre di più, alla destrutturazione e all’annientamento.
L’uomo mente a se stesso ancora prima che agli altri, alcune volte inconsapevolmente.
“La paura porta all’ira, l’ira all’odio, l’odio conduce alla sofferenza. La paura è la via per il Lato Oscuro”
(Maestro Yoda in Star Wars)
Bibliografia
Aldo Carotenuto, Freud e il perturbante, Bompiani, Milano 2002
Erik H.Erikson, Gioventù e crisi di identità, Armando Editori, Roma 2000
Guglielmo Gullotta, Psicoanalisi e responsabilità penale, Giuffrè Editore, Milano 2005
Luigi Pirandello Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano1985
Mark Twain, Seguendo l’equatore. In viaggio intorno al mondo, Dalai Editore, Milano 2010
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Arnoldo Mondadori, Milano 1999
Otto Rank, Il doppio, SE, Milano 2001
Robert I. Simon, I buoni lo sognano i cattivi lo fanno, Raffaello Cortina Edizioni, Milano 1997
Robert Louis Stevenson, Il dottor Jekyll e mister Hyde, La Feltrinelli, Milano 1999
Sigmund Freud, Il perturbante, Theoria, Torino 1993
Sigmund Freud, Introduzione al narcisismo, Bollati Boringhieri, Torino 2001
Sigmund Freud, L’Io e l’Es in Opere vol.IX, Bollati Boringhieri, Torino 1989
Star Wars – La minaccia fantasma, Ep. I
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