di Gianfranco Brevetto
Occorre in primo luogo chiarire che non si tratta qui dell’ennesimo libro sulla figura di Paolo di Tarso.
L’angolazione scelta da Gianfranco Ravasi nel suo Ero un blasfemo, un persecutore e un violento (2024, Cortina Editore) vuole essere un chiaro invito, come precisato nel volume, a staccare la figura di Paolo dalle sue rappresentazioni agiografiche per farlo scendere nel nostro mondo secolarizzato.
Personaggio complesso Paolo, a partire dalla sua conversione che segna un passaggio traumatico, nel corpo e nello spirito, tra l’ebreo persecutore e violento a caccia dei cristiani e l’instancabile annunciatore di Cristo oltre i confini delle fisici e culturali della originaria religione. Un grande mutamento che sembra iniziare proprio dal primo martirio, quello di Stefano. Il volto del giovane lo turba, lo impressiona la serenità del morente di fronte ad una violenza che non può avere una giustificazione divina.
Ma Paolo non è solo sensibilità personale. Il confronto con i greci e con i pagani, la fede incrollabile in un Dio di tutti, indipendentemente dal luogo di nascita, l’intuizione di una religione universale, che si rivolge a tutti fino ai confini del mondo conosciuto, sono solo alcuni dei debiti che il pensiero, non solo religioso, deve all’apostolo per elezione.
Non si può non riconoscere Paolo la lucida tenacia dell’affermare e sostenere, anche a costo di polemiche con la chiesa delle origini, la supremazia salvifica della fede rispetto alle opere della legge. Aspetto, questo che definisce una vera e propria frattura con l’ebraismo. Occorre, tuttavia, ricordare che Paolo non rinnegherà mai le sue radici ebraiche, e la sua conversione viene indicata piuttosto come una vocazione.
E’ evidente che anche per questa franchezza e questa tenacia Paolo è stato variamente considerato e criticato nel corso dei secoli. Da una parte considerato l’inventore di una nuova religione, oppure un disangelista: Gramsci lo considerava, non a torto, il Lenin del cristianesimo, portatore della cattiva novella a differenza delgli evangelisti, da Nietzsche. Ricordiamo che Lutero prende spunto della Lettera ai romani per elencare le sue critiche alla chiesa del tempo. Numerosi sono anche i suo adulatori, ricordiamo personaggi Victor Hugo, Pasolini e Conrad.
Eppure, Paolo nasce Saulo, ebreo di Tarso, una città della Cilicia. Molto probabilmente di professione costruttore di tende, istruito all’ebraismo nella rigida scuola di Gamaliel. Ma Saulo è anche Paolo, cittadino romano, come da lui stesso proclamato quando si tratterà di appellarsi al tribunale romano per essere giudicato dalle accuse che gli venivano mosse. Inoltre, Paolo s’impone anche per la sua conoscenza approfondita del mondo ellenico.
Tutte qualità gli consentono di porsi in sintonia con le tre culture fondamentali del bacino del mediterraneo: ebraismo, ellenismo, paganesimo. Posizione che, come ci ricorda Ravasi, è indispensabile per comprenderne l’opera e la vicenda personale. Testimonianze a noi pervenute attraverso gli atti degli apostoli e le lettere (a proposito di queste ultime Ravasi ci ricorda che solo sette sono di sicura provenienza paolina: la prima ai Tessalonicesi, la prima e la seconda ai Corinzi, quelle ai Galati, ai Filippesi , ai Romani e quella a Filemone).
Quel che è certo è che Paolo è un personaggio dalle mille sfaccettature. Centrale nelle vicende religiose e culturali degli ultimi due millenni.
Difficile, quindi, cercare di condensarlo in poche frasi. Lungi da noi tentarci, non è nostro compito. Seguiamo, però, alcune indicazioni di Gianfranco Ravasi.
La prima, che sembra emergere fin dal titolo, è quella di un Paolo che nonostante la rigida formazione gode di una mente aperta, scevra dalle sclerotizzazioni farisaiche. E’ un uomo che viaggia, si confronta. Forse disilluso che non si piega a qualsiasi cambiamento. Non attende un segnale qualsiasi, anzi vi si oppone. Lui stesso narra del suo incontro con il Dio cristiano come di un lungo recalcitrare contro il pungolo. Eppure, infine l’apostolo delle genti, incontra il suo limite. Nella lettera ai romani, cita il profeta Isaia: sono stato travato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non si rivolgevano a me.
Paolo si arresta di fronte alla debolezza che diventa forza, all’ignoranza che supera la sapienza. Al limite di una legge che suggella il peccato, che si annulla di fronte alla possibilità della grazia gratuita divina.
E’ il ribaltamento della sclerotizzazione delle religioni fatte di vuoti precetti, è un Dio che si fa uomo e ci propone un messaggio salvifico e a dimensione umana, alla portata di tutti i viventi.
Paolo, il blasfemo, il persecutore, il violento, si arresta accecato sulla via che sta percorrendo. Conscio, ci piace pensarlo, che la strada verso Dio stia proprio nel carattere assurdo della fede umana.
Gianfranco Ravasi
Ero un blasfemo, un persecutore e un violento
Biografia di Paolo
2024, Raffaello Cortina Editore