di Mario Abrate
A volte, le macchine del tempo, si nascondono nei posti più impensabili.
Esistono luoghi dove, magicamente, il tempo si modifica e acquisisce un significato tutto suo.
Possono essere spiagge assolate, cime di montagna o cieli in una stanza,… sta di fatto che questi “universi paralleli”, davvero esistono.
A volte sono “non luoghi”, spazi spesso ignorati, sconosciuti o non considerati.
Nella filosofia di tutto l’impianto della Giustizia Minorile, a partire da quanto disposto dal DPR 448/88 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), è fondamentale il principio di centralità del minore, dei sui diritti e delle sue esigenze affettive ed educative.
In tale ottica risulta indispensabile che ogni intervento a favore della popolazione giovanile sottoposta a misura penale sia supportato da un costante ed incisivo lavoro di rete.
Se la commissione di un reato è espressione di un disagio personale, familiare o sociale, la risposta istituzionale al suo stato di sofferenza non può che essere legata al suo territorio di appartenenza.
“Sa Direttore – mi disse un giorno una ragazza di troppi pochi anni, – questo è il giorno più bello della mia vita”. La guardai, come si guarda qualcuno di cui non si comprendono appieno le parole.
Una caratteristica peculiare di queste macchine del tempo è che si azionano spontaneamente, non esiste un pulsante da premere o una leva da azionare. Uno ci si trova dentro e se ne accorge solo quando il viaggio è già iniziato, magicamente.
Il tempo a volte si ferma. Perché ne abbiamo bisogno, perché passa troppo in fretta e non riusciamo a stargli dietro.
Poi c’è il “tempo necessario”, quello che non può essere compresso o ritardato. A volte la macchina del tempo serve proprio a modificare una tabella di marcia che non tiene nel debito conto il “tempo che ci vuole”.
Sul territorio si manifesta il disagio, sul territorio occorre intervenire con progetti socio-educativi individualizzati che coinvolgano, a diverso titolo, la rete di sostegno territoriale: famiglia, scuola, privato sociale ecc. ecc.
L’Istituto Penitenziario Minorile di Pontremoli in provincia di Massa-Carrara, da questo punto di vista, presenta caratteristiche particolari: la sua localizzazione decentrata rispetto le zone di appartenenza delle ragazze (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna soprattutto) è sicuramente un limite per un lavoro che coinvolga la loro rete naturale.
Il contesto territoriale nel quale l’IPM è collocato, però, può sorprendentemente rappresentare un punto di forza dal punto di vista dell’intervento socio educativo.
Le dimensioni contenute dell’IPM ed un territorio di riferimento circoscritto possono, nel tempo, portare a considerare Pontremoli come un terreno di sperimentazione protetta per interventi educativi delimitati nel tempo.
Ed è così che abbiamo giovani, poco più di bambine, mogli e madri. Ragazze che non hanno avuto il tempo di crescere nei tempi biologici e psicologici necessari. Che spesso non hanno avuto un istruzione adeguata, una affetto ricambiato e il rispetto dovuto. Un ciclo vitale troppo tarato sui bisogni degli adulti e non su quelli, sacrosanti, dei bambini.
“Vede Direttore” mi disse un’altra ragazza, “noi nasciamo sfigate due volte: la prima perché siamo zingare, la seconda perché siamo femmine”.
Le nostre “ospiti” arrivano, vengono perquisite, visitate, rifocillate, rinchiuse, curate, sorvegliate. Vengono anche ascoltate, comprese, accolte, valorizzate, tutelate, istruite e rispettate. Anche coccolate se serve (e serve).
L’obiettivo dell’intervento quindi non è quello di far sperimentare alle giovani, forse per la prima volta nella loro vita, un modo di vivere alternativo, con ricadute positive in termini di autostima e di autodeterminazione, elemento quest’ultimo di particolare importanza trattandosi spesso, di giovani donne ROM.
Da non trascurare inoltre il ruolo che un’esperienza positiva vissuta a Pontremoli può avere sulle vicende giudiziarie delle ragazze, anche in previsione di possibili Messe alla Prova da effettuarsi sul territorio di provenienza.
L’obiettivo, difficile, che il sistema IPM di Pontremoli vuole realizzare è quindi quello di creare una rete di prossimità, un contesto relazionalmente accogliente e sensibile, capace di prendersi carico esso stesso delle ragazze detenute in Istituto.
Ed ecco che improvvisamente la macchina del tempo si mette in moto. Il “non luogo” colpisce ancora e lo spazio, d’incanto, si trasforma in tempo: il tempo per crescere.
E’ un tempo che serve a ripercorrere tutte le tappe di una crescita che non ha dato scampo. E’ un tempo che le renderanno madri migliori di quelle che hanno avuto.
E’ un tempo che dà un senso ad un Istituto come il nostro.
A dire il vero, non sempre la nostra macchina del tempo funziona: l’anno scorso è capitato solo un paio di volte… quest’anno però siamo già a quattro e forse, chissà, se oliamo bene la macchina, il prossimo anno potrebbero anche essere sei o sette…
Forse è solo una questione di tempo…