di Francesco Tramonti e Annibale Fanali
La dimensione temporale è da sempre elemento cruciale nella valutazione e nel trattamento dei disordini psichici, a partire dalle analisi fenomenologiche dei processi di pensiero, che ben distinsero tra tempo oggettivo, tempo del mondo, e percezione soggettiva del flusso temporale, tra tempo individuale e tempo sociale, tra memoria e anticipazione. Classici, in questo senso, sono stati gli approfondimenti sull’esperienza del tempo in alcuni specifici disturbi come per esempio nella depressione, nella quale la vita interiore si svuota di intenzionalità, si allontana dagli oggetti, che appaiono estranei e distanti, e l’inibizione pervade l’esistenza del paziente che si blocca fino all’immobilità, sia motoria che ideativa. L’appesantimento del corpo, la sua lentezza nei movimenti, diventano l’espressione di una fatica del vivere che si accompagna, nelle forme più gravi di depressione maggiore, a un senso di colpa acuto, perfino lacerante. Ecco allora che il tempo rallenta, fino ad arrestarsi, e tende a restringersi fatalmente la dimensione del futuro mentre si amplia la dimensione del passato, che assorbe il paziente nella disperazione per la perdita di un orizzonte, di una prospettiva. In questi casi si fa evidente la dissociazione tra il tempo soggettivo e il tempo del mondo, il tempo della clessidra (Borgna, 1991). Il contrario avviene nella mania, dove i pensieri si affollano nella mente in rapida successione ed il flusso delle idee non è più indirizzato da un filo conduttore coerente. In questi casi il tempo è accelerato, e il mondo maniacale, interamente proiettato nel futuro, è ricco di futuro (Callieri, Di Petta e Maldonado, 1999). Differente ancora l’esperienza del tempo nella psicosi schizofrenica, dove il passato frammentato non si articola con un presente che appare nel disordine di un puzzle non più facilmente ricomponibile, e “il gioco tra passato, presente e futuro non risponde più ad alcuna logica” (Callieri, Di Petta e Maldonado 1999). Non possiamo dimenticare, in questa breve analisi, l’anticipazione ansiosa del futuro che si osserva nell’angoscia panica, o la perdita di ovvietà e naturalezza dell’orizzonte temporale dell’ossessivo, che nasconde, in ogni suo apparire, la minaccia della contaminazione. Di particolare interesse, inoltre, è l’esperienza del tempo vissuto nei soggetti con disturbi di personalità, di cui parleremo più avanti.
Si è negli anni ridotta questa attenzione alla soggettività e alla percezione individuale del tempo, a vantaggio di una psicopatologia più orientata al perfezionamento della nosografia, ossia della categorizzazione dei sintomi e delle sindromi, talvolta prona al rischio di una visione statica, cristallizzata, quasi a-temporale dei fenomeni e dei processi psichici. In questa prospettiva la dimensione del tempo non è comunque del tutto persa, ma troppo spesso circoscritta alla valutazione di frequenze di sintomi o velocità dei processi di pensiero, al fine di una precisa definizione diagnostica più che di una valutazione dell’esperienza soggettiva. Un rinnovato interesse verso quest’ultima potrebbe derivare dal recente emergere di un approccio dimensionale allo studio della psicopatologia, dove la dimensionalità del fenomeno psichico può ricondurre anche ad una più esplicita attenzione al profilo temporale dell’evoluzione di un disturbo e al ciclo di vita della persona che ne soffre.
Il ciclo di vita, sia individuale che familiare, è di fatto contesto temporale imprescindibile per un’accurata valutazione, e in un certo senso per un’autentica comprensione, dei disturbi psichici. Sono infatti i passaggi critici dello sviluppo, e quindi le fasi di transizione, a rappresentare spesso i momenti in cui è più probabile che compaiano segni e sintomi di disagio, quando non di franca patologia. La dimensione evolutiva, intesa come storia e decorso delle tappe di sviluppo personale e relazionale, assume perciò particolare rilevanza, e da essa non si può prescindere per una valutazione esaustiva di ogni singolo caso e, nel contesto terapeutico, per la pianificazione di interventi mirati ed efficaci. A questo proposito, sempre più modelli di psicoterapia accolgono oggi l’idea che sia proprio un adeguato sviluppo, in presenza di risorse sia personali che extra-personali, a svolgere un ruolo di rilevante fattore protettivo per individui e famiglie di fronte a potenziali scompensi, e che l’armonia di tale sviluppo sia influenzata da variabili di varia natura, dalle predisposizioni genetiche ai contesti sociali, dalla qualità delle relazioni familiari agli eventi significativi. Sappiamo inoltre che tali dinamiche evolutive non possono prescindere da una cornice di studio che ponga al centro del discorso la relazione, in quanto non vi è sviluppo umano al di fuori di contesti relazionali di riferimento. Anche a livello biologico, lo sviluppo stesso del sistema nervoso poggia su un’adeguata stimolazione non solo sensoriale e cognitiva, ma anche affettiva (Siegel, 1999). La mente si sviluppa dall’interazione e nell’interazione, e la qualità di tale interazione è data da fenomeni di risonanza, di sintonizzazione affettiva per dirla con Stern (2004), che fondano l’intersoggettività della mente umana e che si basano su processi di sincronizzazione, ossia processi che richiedono condivisioni di affetti, percetti e pensieri in una precisa cornice temporale.
Questi processi di sincronizzazione (e la qualità emergente che ne deriva) sono facilmente osservabili nelle relazioni di accudimento, e processi simili si attivano anche in psicoterapia, dove è altrettanto decisiva la qualità della sincronizzazione, e quindi dell’allineamento e della coordinazione, sul piano temporale, tra paziente e terapeuta (Boscolo e Bertrando, 1993). In senso generale, occorre che il tempo del terapeuta non sia definito solo in senso disciplinare, dai criteri di un tempo che ha le caratteristiche più dello status che del processo e che non include nella propria essenza la transizione, il passaggio da uno stato all’altro. È necessario che il tempo degli obiettivi prefissati, della capacità di affrontare il problema, degli interventi proposti, entri in armonia con il tempo del paziente, in termini di aspettative, di maturazione di una adeguata motivazione al cambiamento e di adeguato equilibrio tra vincoli e risorse. Su un piano più specifico, occorre che si verifichino, in terapia, momenti di incontro caratterizzati proprio da quei fenomeni di sincronizzazione e profonda condivisione che abbiamo sopra delineato (Stern, 2004). È grazie a questi momenti che possono verificarsi processi di apprendimento pregni di significato e di potenzialità evolutive, ed è grazie a questi momenti, iscritti nel più ampio contesto della qualità dell’alleanza terapeutica, che lo psicoterapeuta può quindi fungere da catalizzatore di crescita (Whitaker e Malone, 1953).
Si può ben capire che questa visione del processo terapeutico dona particolare rilevanza alla relazione in sé, più che alla tecnica, la quale può risultare strumento utile solo se ben inserita in un contesto di apprendimento efficace, tra le cui caratteristiche precipue vi è proprio la rilevanza del tempo. Il timing, ossia la tempistica, di ogni specifico intervento è difatti aspetto cruciale in termini di efficacia dell’intervento, e la forzatura dei ritmi di apprendimento non produce solitamente risultati positivi. Ciò che invece si osserva nelle terapie più riuscite è quella che, prendendo ispirazione da Jullien (2010), abbiamo definito in altra sede una trasformazione silenziosa, dettata dal sincronizzarsi degli stimoli del terapeuta con la maturazione delle potenzialità di sviluppo del paziente (Tramonti e Fanali, 2013).
Molti modelli di psicoterapia tendono oggi a convergere nella direzione di una visione sempre più organica, e coerente, di quanto accade nel processo terapeutico, e la metafora dei sistemici dinamici, e dei passaggi di stato che ne caratterizzano le traiettorie evolutive, gode di particolare credito (Boston Change Process Study Group, 2010). Si tratta infatti di una chiave di lettura assai calzante, giacché si applica a sistemi viventi di vari livelli di complessità e mostra particolare pregnanza allorché la si applica allo studio dello sviluppo degli organismi e delle funzioni mentali. Ad anticipare, ed informare, questa visione sono stati contributi fondamentali nell’evoluzione delle teorie sistemiche e della complessità, quali in particolare gli studi sui sistemi lontani dall’equilibrio di Prigogine (Prigogine e Stengers 1979). Secondo queste prospettive, i sistemi viventi bilanciano continuamente le spinte volte al mantenimento dell’equilibrio con gli impulsi al cambiamento necessari alla vita, poiché la vita presuppone proprio lo sviluppo e l’adattamento ad ambienti mutevoli. L’equilibrio che si configura è pertanto un equilibrio dinamico, evolutivo, scandito proprio nel tempo da potenzialità intrinseche al sistema e stimoli rilevanti che ne possono far evolvere la struttura e le configurazioni di funzionamento. Pur con le differenze e le specificità che si confanno ai differenti livelli di analisi, ciò vale tanto per i processi biologici quanto per le più complesse funzioni psicologiche e relazionali, peraltro dimensioni inscindibili e reciprocamente interconnesse.
In questa chiave di lettura, assume particolare rilevanza il bilanciamento tra coerenza e flessibilità, tra stabilità e cambiamento, polarità che attivano dinamiche evolutive che possono essere comprese soltanto nella cornice temporale in cui avvengono le fluttuazioni che, raggiunta una soglia critica, possono portare a dei cambiamenti di stato. Le proprietà autoriflessive, come le possiamo osservare nella coscienza umana, consentono di cogliere questa dimensione temporale e costruire una cornice storica che struttura i processi identitari ed è responsabile della percezione di quello che è stato definito il tempo vissuto. Tale percezione trova condizioni di adeguato bilanciamento laddove sono armonicamente articolati il passato, il presente e il futuro, mentre incontra condizioni di possibile scompenso nelle situazioni in cui si verificano eccessive e persistenti polarizzazioni su un’unica dimensione temporale, sia esso un passato traumatico che condiziona eccessivamente il presente, oppure un futuro che angosciosamente incombe sul qui ed ora, o anche un presente da cui non si riesce più ad astrarsi per coglierne il significato in rapporto alla successione degli eventi. È a quest’ultima forma del tempo vissuto, e scarsamente elaborato, che vorremmo dedicare un’ultima riflessione, giacché proprio tale forma sembra rappresentare con più incisività, quasi ergendosi a paradigma, aspetti culturali e derive patologiche della contemporaneità.
Ogni società e ogni periodo storico si caratterizzano difatti per peculiari concezioni del tempo e, come argomentano Muscelli e Stanghellini (2012), se l’epoca moderna ha consacrato la sua visione all’accelerazione, alla produttività e al futuro, l’epoca contemporanea sembra invece imprigionata in uno sguardo che non riesce più ad emanciparsi dall’immediato, ovvero la dimensione dell’istantaneità. A ciò sembrano corrispondere, come spesso accade, peculiari forme di sofferenza e patologia. Si osserva infatti, oggi, una significativa incidenza di disturbi caratterizzati da incapacità o difficoltà nell’articolazione delle dimensioni temporali, con assoggettamento ad un presente privo di significato, ossia privato proprio dell’opportunità di essere messo adeguatamente in relazione sia con un passato elaborato e reso fonte di esperienza, sia con un futuro inteso come dimensione progettuale. Questa difficoltà, che si associa solitamente ad una carenza nelle capacità di mentalizzazione, ossia di riflessione su stati mentali propri ed altrui, è tipica di alcuni dei cosiddetti disturbi di personalità, disturbi oggi assai diffusi, quando adeguatamente diagnosticati, in cui la disforia del tono dell’umore, le esplosioni dell’emotività e i passaggi all’atto rappresentano spesso i segni più comuni e caratterizzanti del quadro clinico (Rossi Monti, 2012). A ciò si affiancano, soprattutto nei quadri cosiddetti borderline, sensazioni di vuoto e identità frammentate, come a lasciar intendere che proprio la percezione del tempo possa essere espressione di rilievo in tali patologie (Fuchs, 2007), e come a confermare che non vi possa essere mente, né salute mentale e identità personale, senza un’adeguata articolazione del tempo vissuto. Compito della psicoterapia è oggi orientare le potenzialità sopra descritte alla cura, lenta e faticosa, di queste condizioni, così come riflettere sulle dimensioni sociali, e quindi politiche, dei mali di ogni tempo, e individuarne i possibili nessi con le culture dominanti.
Riferimenti Bibliografici
E. Borgna, Malinconia, Feltrinelli, Milano, 1992.
L. Boscolo, P. Bertrando, I tempi del tempo. Una nuova prospettiva per la consulenza e la terapia sistemica, Boringhieri, Torino, 1993.
Boston Change Process Study Group, Change in Psychotherapy. A Unifying Paradigm, Norton, New York, 2010.
B. Callieri, M. Maldonado, G. Di Petta, Lineamenti di psicopatologia fenomenologica, Guida, Napoli, 1999.
T. Fuchs, “Fragmented selves: Temporality and identity in borderline personality disorder”, Psychopathology, 40, 379-387, 2007.
F. Jullien, “L’esteriorità cinese ovvero come fare lavorare gli scarti culturali per una intelligenza comune”, Aut Aut, 345, 145-168, 2010.
C. Muscelli, G. Stanghellini G., Istantaneità. Cultura e psicopatologia della temporalità contemporanea, Angeli, Milano, 2012.
I. Prigogine, I. Stengers, La nouvelle alliance. Métamorphose de la science, Gallimard, Paris, 1979 (Trad. it., La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino, 1999).
M. Rossi Monti, “Borderline: il dramma della disforia”, in M. Rossi Monti (a cura di), Psicopatologia del presente. Crisi nosografica e nuove forme della clinica, Angeli, Milano, 2012.
D. J. Siegel, The Developing Mind, Guilford, New York, 1999 (Trad. it., La mente relazionale, Cortina, Milano, 2001).
D. N. Stern, The Present Moment in Psychotherapy and Everyday Life, Norton, New York, 2004 (Trad. it., Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana, Cortina, Milano, 2005).
F. Tramonti, A. Fanali, Identità e legami. La psicoterapia individuale a indirizzo sistemico-relazionale, Giunti, Firenze 2013.
C. A. Whitaker, T. Malone, The Roots of Psychotherapy, Blakiston, London, 1953 (Trad. it., Le radici della psicoterapia, Angeli, Milano, 1998).
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