di Matteo Pratelli e Gianfranco Brevetto
Tutto sembrava finito, assopitosi nel trentennio iniziato con quello che, negli anni ’80, si definì il reflusso. Ed ecco, come per incanto, complici un decennio di crisi economica, le crisi migratorie, il riscaldamento globale, la fine delle mezze stagioni (che forse non sono mai esistite) e un mondo che sembrava avviarsi verso una normalizzazione ed un’omologazione silenziose e irreversibili, ecco, ora tutto ci appare cambiato, irriconoscibile. In Italia, in Europa, nel mondo, sembrano farsi strada nuove direzioni, apparentemente inspiegabili, sorte d’improvviso e che nemmeno i migliori analisti avrebbero saputo prevedere, come se in loro si fosse temporaneamente spenta ogni consapevolezza dell’esistenza della società. Ecco che, come per incanto ripetiamo, la crisi economica ci presenta il conto e la politica scende dal platonico mondo delle idee, comincia ad annaspare, a muoversi in modo apparentemente sconclusionato, utilizzando modalità e linguaggi ai quali lentamente, ora, ci si va abituando. Allora la realtà sembra riprendere il proprio peso, orientarsi è difficile, se non a tratti, attendendo il prossimo tweet.
Ecco nascere, ora e di pari passo, l’esigenza di schierarsi, di dire la propria di fronte a questi cambiamenti inaspettati, forse nel tentativo estremo di dominare mutamenti rapidi, ai quali avevamo perso l’abitudine. Complici i social, complice questo esser continuamente stimolati ad esprimerci pur di esserci, pur di far valere quella che oramai sembra la parodia di un’individualità, che emerge e si divincola proprio quando percepisce l’assenza di quelle istituzioni indispensabili alla corretta espressione collettiva delle singole istanze individuali.
I social network sono pieni di profili che esprimono le loro idee, qualunque esse siano; Facebook pullula di pagine a favore di questo o contro quello; si leggono in continuazione velenosi commenti ai post dei politici e non. Siamo portati a pensare che anche nel mondo “reale” la situazione sia identica, speculare, e che le persone, quelle di carne e ossa, siano lì ad esprimersi, a mobilitarsi. In realtà, le cose non sembrano stare così: si lascia sempre di più che le cose facciano il loro corso, evitando di cercare una soluzione; si respira un clima di arrendevolezza, di disillusione. In altre parole: è proprio difficile che qualcuno si schieri. Spesso si tratto solo di una pantomima, di una rappresentazione.
Sì, è vero, le manifestazioni non mancano (seppure in numero di molto minore al passato), a partire dagli scioperi per arrivare alle proteste studentesche. Sono, però, tutte situazioni che si svolgono in un ambito più ristretto, che giungono agli occhi del mondo per un attimo, per essere poi dimenticate subito dopo. Gli altri, al massimo, ne condividono la notizia, mostrando la loro indignazione sui social, ma la cosa finisce lì.
“Caccianli i ciel per non esser men belli, /né lo profondo inferno li riceve, /ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli” [1]. Questa, per Dante, è la sorte degli ignavi, coloro che in vita non hanno mai preso posizione: cacciati dal Paradiso, rifiutati dall’Inferno, i cui ospiti non riceverebbero alcuna gloria da essi. Sembrerebbe quasi che, per il sommo poeta, non schierarsi fosse peggio che farlo in modo sbagliato. La sua è una dura posizione, ci sospinge a farci avanti, a esprimere le nostre idee.
Bauman parla di questo comportamento usando come similitudine uno stormo di uccelli[2]: tutti ci muoviamo in massa verso una direzione poi, un impercettibile movimento di uno dei membri del gruppo, fa sì che tutti cambino destinazione. Ma solo per poco, poi succede qualcosa che ci fa nuovamente orientare, altrove.
Lo schierarsi si riduce a un temporaneo sostenere una causa, per poi passare oltre, in modo improvviso, repentino, veloce.
Appartenere, schierarsi, non è più sinonimo di adesione. Ci si sente liberi di esprimersi senza essere obbligati ad una coerenza e senza apparenti conseguenze pratiche. È andata smarrita quella visione d’insieme, dotata di senso, del nostro posizionarsi nella società e nella politica. L’essere in grado di sostenere, allo stesso tempo, tutto e il contrario di tutto, ci rende simili ai personaggi capricciosi dei racconti di Lewis Carroll. In essi il senso sta proprio nel non senso. Sta in quell’atteggiamento diffuso, prelogico, capace di scardinare i punti di riferimento della lettura delle storie individuali e collettive.
Bauman, ancora una volta, ci offre una interessante riflessione: il motivo per cui le persone oggi non si schierano è che, in fondo, non hanno motivazioni per farlo. Mancano cioè idee, mancano radici alle quali aggrapparsi che ci permettano di scegliere da che parte stare. Schierarsi significa essere consapevoli di ciò che si desidera: oggi, semmai, sappiamo, tutt’al più, cosa non vogliamo. Manca un’identità, manca un pensiero di riferimento (che per Bauman, come è noto, è ormai diventato liquido[3]) dai quali partire per compiere scelte, per prendere posizione. In fondo, farlo presupporrebbe un impegno che molti non sono pronti a mettere in campo: meglio premere sul tasto “condividi”, e passare oltre.
(Questo editoriale nasce dall’incontro di età e di mondi diversi e vuole esser un tentativo, una sfida, alla ricerca di un dialogo anche tra generazioni)
[1] Dante, Inferno II, 40-42
[2] Cfr. Zygmunt Bauman, Cose che abbiamo in comune: 44 lettere dal mondo liquido, 2013, Laterza
[3] Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, 1999, Laterza