di Silvia Rosati
Nel mondo di opposti della nostra esistenza, la coppia ordine – disordine è forse la più difficilmente conducibile ad unità. Essa è non solo in termini semantici, ma di senso, la contraddizione più curiosa esperibile nella nostra semplice e quotidiana esistenza al pari di quella dell’Universo.
Partiamo dal concetto di disordine. Esso appare come uno stato abnorme, nel significato originario di estraneo o travalicante la norma, ma non per questo straordinario. In tal caso la norma, intesa come regola prescrittiva, va proprio in direzione contraria. Ed è questo un paradosso facilmente verificabile.
Che il disordine sia la costante della camera di adolescenti rivoluzionari, dei sentimenti di cinquantenni in crisi, delle case di donne in carriera, degli alunni nel cambio dell’ora, dei bambini al parco o delle particelle di gas che si espandono da un ambiente chiuso ad uno aperto è verificabile.
E questo accade perché lo stato di disordine è semplicemente il più probabile degli stati ed in natura si tende allo stato più probabile, quello che si può ottenere microscopicamente nel maggior numero dei modi.
Quello stato di disordine è, dunque, evidentemente la norma e la costante per così dire di molti sistemi fisici, biologici così come di quelli sociali.
Questo deve essere stato chiaro, intorno alla metà del XIX sec. al fisico tedesco Rudolf Clausius . Studiava il flusso di calore nei motori a vapore e ci regalò il concetto di entropia e la seconda legge della termodinamica, legge questa secondo la quale l’entropia di un sistema lontano dall’equilibrio termico tende a salire nel tempo, finché l’equilibrio non è raggiunto. In qualunque forma si trovi l’energia, essa in natura in parte si trasformerà in energia meccanica, in parte si trasformerà in calore restando nel sistema in quanto disordine.
Questo significa che non solo il disordine è lo stato più probabile della nostra esistenza, che l’entropia, il disordine appunto, è la costante di ogni trasformazione che avviene in natura, ma significa anche che il disordine stesso è la direzione ed il verso di ogni trasformazione e la meta ultima di questa.
Se passo, dunque, da due sistemi ordinati, una tazza di acqua bollente ed una di acqua fredda, ad un sistema unico, avrò un aumento dell’entropia, del disordine, ma questo disordine segnerà anche il senso della trasformazione, la linea del tempo in una direzione irreversibile. Ed in questo sistema disordinato, la spinta alla trasformazione si sarà affievolita, il calore uniformemente distribuito, l’energia irreversibilmente degradata: una irreversibile tazza di acqua tiepida senza alcun potenziale di trasformazione.
“ This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
not with a bang but a whimper” [1]
recitavano i versi di Elliot (1888-1965). L’autore voleva poeticamente il presagio di un Universo che nato dalle belle speranze di un “Big Bang”, una volta messe in atto tutte le trasformazioni energetiche possibili, passato allo stato di massimo disordine, non abbia più in questo disordine alcuna differenza significativa che possa generare trasformazioni. La “morte termica dell’Universo”, la chiamano i fisici.
Ecco, dunque, che il disordine totale si tradurrebbe, in ultima analisi, in una sorta di immobilità cosmica, tiepida e a dire il vero poco interessante: un disordine massimo, dagli attributi noiosi e poco creativi tradizionalmente attribuiti dell’ordine, presagio di assenza di trasformazioni, di differenze significative di calore, di contrasti stimolanti.
Ma la termodinamica lascia ancora un po’ di spazio alla speranza in scenari diversi della dialettica ordine-disordine, rispetto agli esiti descritti. A parte le scarse probabilità statistiche che le trasformazioni naturali conducano spontaneamente verso situazioni ordinate, foriere e cariche di potenziale innovativo, la storia della vita, dalla sua apparizione fino allo sviluppo e all’evoluzione delle società umane complesse, sembra infonderci quella speranza a cui prima accennavamo.
E’ qui che la conclusioni sulla dialettica tra ordine e disordine propria di tuttti i sistemi naturali in trasformazione e dell’Universo materiale in evoluzione, sembrano completamente ribaltarsi quando si considerino gli organismi complessi, come l’essere umano e tutti i campi o le scienze che da esso discendono: del viver civile, delle scienze umane, della cultura in tutte le sue sfumature.
Proprio in riferimento agli organismi ed ai sistemi sociali, Ilya Prigogine, chimico belga Nobel per la chimica nel 1977, pensò a modelli matematici di strutture che lui chiamò “dissipative”, sistemi in cui l’entropia decresce spontaneamente all’interno, trasferendosi all’ambiente circostante. Prospettiva interessante, questa, che implicherebbe, limitatamente ad alcuni aspetti della vita umana, una qualche rivalutazione, oltre che un’utile ed auspicabile legittimazione, dell’ordine. Quest’ultimo inteso come promessa di trasformazione ed unica possibile premessa del cambiamento.
In molti aspetti della vita umana, come nella formulazione e nell’applicazione delle norme del diritto, nelle forme della comunicazione e del linguaggio in generale, l’applicazione della norma come portatrice di ordine appare, dunque, in modo evidente come garanzia di libertà, presupposto inderogabile di movimento in senso evolutivo.
Ed è proprio questo che si intende sottolineare in particolare in riferimento ad un aspetto della vita umana quello della comunicazione e delle modalità della stessa, in particolare della comunicazione a distanza, quella scritta che presuppone due nodi problematici fondamentali quanto mai attuali: quello del codice e dei linguaggi di comunicazione da una parte, quello dei mezzi di comunicazione e della pluralità delle fonti dall’altra.
Negli anni ’40 del secolo passato Claude Elwod Shannon formulò la sua interessante teoria dell’informazione, partendo dalla necessità avvertita in periodo bellico di riprodurre, in un determinato punto in modo esatto o con una buona approssimazione, un messaggio scelto altrove. Si trattava di una questione assai antica, che in verità risaliva ai tempi dell’invenzione della scrittura e dei supporti scrittòri. La necessità di comunicare a distanza risultava, tuttavia, vitale in epoca bellica ed oggi risulta altrettanto vitale riflettere sulle modalità e sulle conseguenze di una tale comunicazione a distanza e massiva . Shannon distinse in maniera paradigmatica le componenti della comunicazione a distanza : la fonte (l’insieme di messaggi possibili) , il trasmettitore (che codifica), il canale, il ricevitore (che decodifica), il destinatario. Egli utilizzò il termine entropia mutuandolo dalla termodinamica per descrivere il “rumore” che interferisce con la corretta ricezione delle informazioni. In particolare egli suggerì la nozione di informazione come misura della complessità di una fonte o di imprevedibilità di un messaggio: un messaggio è più prevedibile, quindi più chiaro, quanto più la fonte fornisce pochi messaggi, correttamente codificati.
La questione è proprio questa. Quanto più è chiara, e univocamente leggibile la fonte per la condivisione del codice, tanto più è efficace e corretta la comunicazione.
Senza voler entrare nel merito delle teorie di Shannon e delle obiezioni che pure ne derivarono relative alla comunicazione a distanza, alle problematiche legate alla mancanza assoluta di feedback diretto dell’interlocutore ed altro ancora, c’è nella sua teoria uno spunto interessante da cui partire. La comunicazione ha bisogno di un codice che sia chiaro, condiviso, ordinato.
Se il linguaggio sia frutto della comunicazione e della convenzione sociale, secondo certe teorie dello strutturalismo di Saussure, o sia frutto di strutture grammaticali universali biologiche per così dire naturali, secondo il generativismo di Chomsky, non è qui il caso di approfondire. Una cosa è certa: è, sia nella sua formulazione orale che in quella scritta, da condividere. Nella condivisione si fonda quel patto implicito o esplicito che solo la norma, intendendosi il complesso delle norme grammaticali in senso lato (ortografiche, sintattiche, lessicali, stilistiche) . Veniamo al dunque: il linguaggio e l’informazione di cui esso si fa portatore sono tanto più precisi se il codice obbedisce ad una norma che ne impone e ne garantisce l’ordine.
Lasciamo da parte gli echi futuristi di parole in libertà, disordine necessario ad un tempo di trasformazioni. Allora il disordine nella scrittura rispondeva al desiderio di scardinare il pre-costituito del fare poetico di tradizione ottocentesca ed era il riflesso di una lotta generale contro la fissità di un ordine politico e sociale, dominato dai disvalori dell’ozio e del senso comune. Lasciamo da parte la questione, anche perché a guardar bene il teorico del Futurismo, Marinetti in ultima analisi ebbe a chiarire che la scrittura, per sua stessa essenza, incorpora ordine e disordine essendo il primo necessario alla leggibilità del testo.
Ma veniamo a noi. E’ tempo di ordine nella scrittura, nella grammatica, nella sintassi, nel lessico e nell’argomentazione di un testo. Il rispetto della regola, lungi dall’essere cosa da vecchi nostalgici è presupposto indispensabile di comunicazione efficace.
E così se la virgola separa il soggetto dal verbo, esso sarà inevitabilmente privato della sua capacità di azione, sia che esso la subisca che la compia. Ne “la dignità, ha un valore inestimabile” , la dignità rimarrà inevitabilmente orfana di quel valore ed entrambi del loro significato profondo. L’indicativo al posto del congiuntivo in “io mi auspico che tu giungi”, priverà per sempre il mio auspicio dei caratteri della possibilità e della spinta rivoluzionaria dell’invito.
Sarebbe certo qui ozioso ripercorrere gli errori più frequenti commessi da inconsapevoli, benevoli scrittori e sempre più spesso da sedicenti parolieri del web (dove è più semplice millantare doti da pensatori referenziati senza il feedback di una matita rossa e blu).
Quel che interessa qui è che, rispetto ad un’idea di disordine ammantato nell’immaginario di aloni e promesse di libertà e trasformazioni, il mondo del vivere civile, al pari di quello del linguaggio, appaiono piuttosto come sistemi dissipativi.
Nel linguaggio, la norma e finanche la regola sintattica e grammaticale si configurano come strumenti unici in grado di alzare la temperatura al sistema, per ritornare al mondo della termodinamica, ed imporre al messaggio che si intende veicolare la capacità e l’efficacia di far breccia nel’ascoltatore e di conservare la dignità e il potere di trasformazione che solo la parola, quella giusta, possiede.
[1] “Così finisce il mondo/ Così finisce il mondo/ Così finisce il mondo/ non con fragore, ma con un gemito”
Level Franco, Entropia, in Franco Level- Pier Cesare Rivoltella-Adriano Zanacchi (edd)
Filippo Tommaso Marinetti, Marinetti futurista, Feltrinelli ed.
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