di Gianfranco Brevetto
Tina Modotti, nonostante siano trascorsi più di ottant’anni dalla sua scomparsa, continua a trasmetterci, attraverso la sua fotografia, il fascino e la determinazione di una donna che ha attraversato una parte decisiva della storia del secolo scorso. Le sue vicende personali costituiscono la testimonianza di una precisa, difficile e travagliata scelta di campo. Riccardo Costantini, esperto e docente in materia di audiovisivi e curatore di numerose mostre in Italia e all’estero, ha il merito di aver raccolto a Palazzo Roverella di Rovigo le sue principali opere fotografiche, frutto di una meticolosa ricerca sviluppatasi in diversi paesi.
– Siamo di fronte ad un personaggio molto complesso della scena culturale internazionale. Io comincerei con un domanda diretta: chi è stata, secondo lei, Tina Modotti?
-Nell’operazione messa in campo a Rovigo, il tentativo è quello di lasciare un po’ in disparte gli aspetti biografici e concentrarsi sulla sua opera. Nel tempo ci si è concentrati molto sulla sua vita nei vari paesi, sulle sue frequentazioni, i suoi amanti e molto molto di meno sulla sua produzione artistica che ricordiamo e molto varia. Tina ha attraversato otto paesi differenti, parlava cinque lingue, era attrice teatrale e cinematografica, fotografa, attivista, autrice di saggi, fu coinvolta nella guerra spagnola. Se dobbiamo fare una sintesi di tutto questo, considerato che nella mostra ci si concentra unicamente sul settennato che va dal 1923 al 1930, quindi la sua storia della fotografia, si può dire che è stata soprattutto se stessa. Una donna artista che ha deciso di essere coerente, libera e autonoma, sempre a fianco degli ultimi. Tutta la sua attività, eccettuata la parte relativa al cinema che ha abbandonato forse per questo motivo, è stata volta a cercare di lottare per colmare le disparità e sostenere i diritti dei più deboli, spendendosi con un’intensità assoluta.
-In proposito ricordiamo che anche altre fotografe presenti in quegli stessi anni sulla scena mondiale, una per tutte Gerda Taro, hanno in qualche modo lasciato una traccia indelebile anche nel percorso di emancipazione femminile del ‘900. Quanto il nascente diffondersi delle tecniche e degli strumenti fotografici, e il loro progressivo appropriarsi da parte delle donne, ha favorito questa battaglia civile?
– E’ assolutamente vero che la fotografia dell’epoca ha visto numerose autrici affermarsi. Gerda Taro , Dorothea Lange, Imogen Cunningham, Margareth Mather sono legate direttamente o indirettamente a Tina Modotti. Sicuramente ha giovato un alleggerirsi della tecnica fotografica, l’apparecchio fotografico è divenuto sempre più portatile, meno costoso anche in termini di pellicola. E’ ora possibile scattare in sequenza con un unico rullino. Occorre dire, però, che non tutte queste fotografe hanno avuto, e Tina Modotti ne è un esempio, notorietà particolare. Per lei il periodo di notorietà corrisponde con la sua presenza in Messico, dopodiché le sue tracce si sono perse. Lo stesso è avvenuto per molte delle fotografe che ho nominato prima che in realtà hanno hanno avuto commissioni anche importanti e di un certo risalto su alcune riviste, ma non quel ruolo così dirompente che sarebbe stato giusto avessero per la forza della propria poetica, della propria arte, del proprio essere integerrime e dedite alla causa o innovatrici in termini di linguaggio. La fotografia ha continuato per lungo tempo ad essere di pertinenza maschile.
-Il Messico, come lei ha ricordato, ha segnato in modo indelebile la biografia e la carriera artistica di Tina Modotti. Terra di grandi contrasti ma anche di sperimentazione sociale e politica in cui, l’arte figurativa, in tutte le sue forme, ha dato un notevole contributo nella comunicazione alle grandi masse. Qual è stato l’apporto distintivo di Tina Modotti?
-Il Messico è Tina Modotti fotografa, basti ricordare che la sua carriera di fotografa, tranne alcuni scatti in Europa, si consuma tutta in Messico. Occorre dire che si tratta di un’artista particolarmente capace, anche mutando di stili, nel raccontare la grande varietà e ricchezza culturale, antropologica, etnografica, del paese che l’ospitava e che l’ha vista cittadina illustre. Se dobbiamo parlare di un suo apporto distintivo, in particolare tra il 1926 e il 1927 quando sposa sempre più le istanze dell’Internazionale Socialista, questo si concretizza nel rivolgere lo sguardo alla dignità degli ultimi, ai campesinos, alle nuove possibilità democratiche di istruzione per i contadini le escuelas libres de agricultura. Un impegno che si rivolge anche ai contrasti che sono all’interno delle città, popolate da persone di estrazione differente, con poveri costretti ad impegnare i propri beni o devastati fisicamente dal lavoro. Contrasti destinati ad aumentare con lo spirito reazionario della politica messicana dal ’28 al ’30 e alle sue conseguenze drammatiche di questo sul mondo rurale. Vi è poi la facilità di Tina Modotti nell’utilizzo di una particolare figura retorica, la metonimia, cioè la capacità di cogliere una parte per raccontare un tutto. Quando vediamo le foto della falce e martello , delle cartucciere, delle stuoie messicane, che possono sembrare a noi solo un simbolo, in realtà essi diventano uno strumento per parlare ad un pubblico enorme, fatto di analfabeti, di campesinos, in modo diretto e comprensibile.
– Lei ha curato in modo scrupoloso e attento questa esposizione che rende giustizia di anni di quasi oblio di questa importante fotografa italiana. Nel materiale raccolto traspare un notevole lavoro di documentazione. Quali difficoltà ha incontrato nella ricostruzione di una storia interessante e complessa?
– Una difficolta su tutte è dovuta al fatto che la vita di Tina Modotti è stata errante e le sue collezioni fotografiche non hanno mai avuto una collocazione precisa. Hanno viaggiato in parte con lei, si sono diffuse tra le persone che hanno vissuto con lei. Molte delle sue fotografie sono state individuate all’interno di archivi meno noti, legati a singoli artisti o singole arti. Mi riferisco, ad esempio, all’archivio di Miguel Covarrubias, con foto fatte a lui e alla moglie. Ma questa difficoltà, alla fine, si è rivelata una risorsa: dietro la mostra di Rovigo ci sono moltissimi anni di mappatura della produzione di Tina Modotti, un lavoro che ci ha permesso di arricchire l’esposizione, che appare la più completa e ragionata rispetto alle precedenti.
Tina Modotti
L’opera
a cura di Riccardo Costantini
Palazzo Roverella, Rovigo
fino al 28 gennaio 2024