EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Tutto andrà bene solo se nulla sarà come prima: i limiti del monetarismo. Intervista a Pierangelo Dacrema

di Luigi Serrapica

Economia del malessere di Pierangelo Dacrema è un volume che si propone di fotografare lo stallo del capitalismo moderno, evidenziatosi, ancor più, in occasione dalla chiusura delle attività economiche di un intero paesi, tra cui il nostro, fra marzo e maggio di quest’anno. “Oggi credo che le categorie economicamente più deboli abbiano tutto il diritto di rivendicare con forza una distribuzione della ricchezza meno sperequata e una più efficace protezione dagli effetti delle crisi sistemiche di qualsiasi natura. Per questo, ora, si può dire che tutto andrà bene solo se nulla sarà come prima”[1], precisa l’autore nelle prime pagine del libro. Un cambiamento che passerebbe attraverso un’economia post-monetaria, senza denaro e senza accumuli spropositati di denaro. Viviamo di gesti, di fatti, non di moneta, sostiene Dacrema. Ma come fare?

Con un’analisi lucida, sebbene contenga sprazzi di quella che l’autore stesso definisce ‘utopia’, l’autore ripercorre velocemente anche le vicende di un’altra grande, traumatica crisi economica che ha segnato il capitalismo del terzo millennio. Quella partita dagli Stati Uniti, nel 2008 a seguito del fallimento di alcune banche che operavano in un sistema creditizio dalle fondamenta inconsistenti . Da quello shock mondiale – da cui alcune economie nazionali faticano ancora oggi a riprendersi – si è capito che la scelta più logica e razionale per rispondere alla crisi è proprio quella più invisa al capitalismo. Dacrema condivide l’idea secondo cui l’amministrazione americana avrebbe potuto dirottare altrove le ingenti somme di denaro stanziate per la crisi a favore delle banche in difficoltà. Dove? Verso i clienti debitori delle banche, ovvero coloro che – con il loro debito – stavano mantenendo in sofferenza gli istituti di credito. I morosi, insomma. In questo modo si sarebbe potuto ottenere un duplice risultato. Da un lato, le banche sarebbero state immediatamente risanate, poiché i debitori insolventi avrebbero potuto saldare le proprie pendenze. Dall’altro, queste persone – parliamo di famiglie, della middle class – non sarebbero finite a vivere in roulotte o comunque ad abbandonare la propria casa innescando una spirale di crollo del valore immobiliare di interi quartieri. Ma il problema è proprio qui: “Nessun pasto è gratis, questa è la regola”, spiega Dacrema. La moneta esige un tributo, inaccettabile sul piano umano, ma perfettamente coerente con le logiche del capitalismo moderno.

– Professore, di fronte alla prospettiva di un impoverimento generalizzato di intere classi sociali lei propone una moratoria dei pagamenti pur ammettendo che sarebbe una “follia”. Cosa intende?

– Lo dico con convinzione, abbiamo bisogno di questo tipo di moratoria. La moneta è un oggetto sociale, superabile. Certo, non dico superabile in pochi anni, forse in mezzo secolo si potrebbe cominciare a vedere qualche cambiamento, ma bisogna ragionarci. Prendiamo, ad esempio, il passato recentissimo in cui, in Italia, moltissime attività produttive sono state chiuse. Lavoravano solo alcune categorie di persone, come i medici, i cassieri, i trasportatori. Tutti noi eravamo chiamati a fare la nostra parte, tutti chiamati a dare tutto, a vantaggio proprio e degli altri. Per rendere meno complicato il momento già problematico, nessuno avrebbe dovuto più pagare nessuno. Chiaramente, qualcuno avrebbe maturato ‘credito’ e altri ‘debito’. Ma i debiti non avrebbero dovuto essere pagati con la moneta. Ricompensare i creditori è giusto, col tempo avremmo trovato il modo per farlo, un modo equo, ma allo stesso tempo non avremmo aggravato la situazione di vecchie e nuove povertà. Sarebbe stato un enorme esperimento di economia post-monetaria in un mondo dominato proprio dalla moneta. Il cui contraltare è il cosiddetto Reddito di cittadinanza.

– In che senso? il Reddito di cittadinanza non la convince?

– A me non piace, i giovani hanno bisogno di lavoro, non di questo tipo di reddito. Questa misura dimostra che non possiamo vivere senza moneta, il che porta a una domanda. Se tutto si paga, perché, allora, non arrivare a  pagare anche l’ossigeno che respiriamo,? Ragioniamoci. Ci sono le premesse per rivedere le forme attuali di capitalismo. Io credo che anche Keynes avrebbe criticato ferocemente questo tipo di economia.

– Keynes viene citato da più parti, spesso quando c’è una crisi di mezzo. A volte a sproposito. Quale insegnamento possiamo trarre dal suo pensiero?

– Keynes non era un teorico. Ha capito molte cose dalla vita approfondendole. Visse a Mosca e vide i comunisti all’opera: quelli avevano per le mani una religione, un’ideologia spietata contro i nemici. Il capitalismo no, il capitalismo non è una religione. Ecco perché deve dare risultati eccellenti e non soltanto buoni. Ma il capitalismo attuale ha creato delle deviazioni di ricchezza inaccettabili. La differenza di reddito fra un dirigente e un operaio si è decuplicata. E non dimentichiamo che negli Usa un povero è più povero che in Italia. La disoccupazione giovanile, qui da noi, è altissima. Keynes aveva capito che l’equilibrio economico generale è un sogno. Da qui la necessità, secondo lui, di un intervento dello stato, ma un intervento intelligente. L’Europa da una parte e l’Italia dall’altra non hanno dato dei buoni esempi in questo campo.

– Cosa rimprovera all’Europa?

– Un’Europa intelligente bacchetterebbe di più i cosiddetti sovranisti. Ultimamente, ha dimostrato un’eccessiva lentezza burocratica che rischia di appannare quello che si è fatto contro la crisi della Covid, poco o tanto che sia.

– Restiamo in ambito europeo. Lei sostiene, come altri, che “L’Europa o esiste ora o non esisterà più”. Cosa intende?

– Io sono profondamente europeista, ma sono anche convinto che l’Europa abbia sbagliato su tanti versanti. Quello dell’Unione Europea è un percorso faticoso, nella cui prima parte si sono avvicendati giganti politici che hanno avuto eredi non alla loro altezza. Merkel è stata criticata da Helmut Kohl perché voleva mettere la Germania davanti all’Europa. La Cancelliera ha comunque dato delle risposte, penso al Mes o al Recovery Fund, ma sul piano pratico queste risposte non sono adeguate né celeri. Si tratta di strumenti che, per fare un paragone, mirano a portare dell’acqua a un moribondo perso nel deserto. Costui ha un telefono cellulare da cui chiede aiuto, chiede da bere per non morire di sete e dall’altro capo del telefono si sente rispondere: “Tranquillo, fra una settimana ti portiamo l’acqua”.

– Sono queste le lentezze a  cui accennava prima?

– L’economa si definisce come efficienza, ossia velocità. Se non sei veloce, produci dei morti. E non soltanto metaforicamente. Il denaro, nella nostra economia, rappresenta questa efficienza, basti pensare alla rapidità di un’operazione bancaria telematica. Il denaro è lo strumento che fa muovere l’economia, ma tale strumento si rivela vano laddove non c’è un intervento adeguato. In questo contesto, l’Europa discute di moneta e in Italia il Parlamento discute di moneta. Si tratta, in entrambi i casi, di un grande esercizio di ragioneria, rispettabile, ma lento e non adeguato. La società in cui viviamo è complessa, eppure ricerca soluzioni facili che spesso si rivelano sbagliate. Prendiamo un soldato di Giulio Cesare come modello di efficienza. Ora paragoniamolo a un aviere moderno, che premendo un pulsante sul suo aereo da guerra ottiene un risultato maggiore del soldato romano e in molto meno tempo. Questa è l’efficienza vista dal punto di vista tecnologico di una società in grado di alleggerire il compito umano, sfruttando le risorse del mondo. La moneta è la forma di efficienza della nostra economia, una forma celebrata, accettata, sacralizzata. Ma non adatta a rispondere ai bisogni del momento. Propongo un’altra immagine: la ruota, che è uno strumento perfezionatosi nel tempo. Al pari della moneta. La ruota ci permette di muoverci, ma non certo di arrivare sulla Luna. Dovremmo trovare un sistema diverso per raggiungerla. Ecco, la nostra società deve realizzare uno strumento diverso che permetta altro rispetto a quanto non permette la moneta come la conosciamo oggi. La politica si occupa per il 90% di denaro, non di idee e neppure di obiettivi.

– Parliamo del compito della politica, allora. Le classi politiche occidentali sono attrezzate alle necessità del cambiamento? Per dirla con le sue parole, “Il mondo è tutto da rifare, e chi non se ne rendesse conto non meriterebbe alcun ruolo in politica”.

– Consideriamo gli Stati Uniti, che sono il Paese leader del mondo sul piano militare ed economico e anche su quello culturale. Al confronto, l’Europa dimostra una profondità che gli Usa non possiedono. Pur nella pochezza della politica europea, abbiamo radici e tradizioni di welfare, cosa che negli Stati Uniti non esiste. La riforma nota come ‘Obamacare’ è stata smantellata, in questo caso hanno posto il valore del denaro davanti a quello dell’uomo. Dirò di più. Draghi o Trichet, da presidenti della Bce, sapevano che sarebbero stati mandati a casa se avessero fallito l’obiettivo cardine ovvero quello di contenere il tasso di degrado della moneta – cioè l’inflazione – entro il 2%. E, detto per inciso, l’inflazione è la grande paura tedesca. Di contro, un qualunque capo di governo europeo è rimasto in carica nonostante nel suo Paese ci sia una disoccupazione altissima, cioè nonostante il perdurare di un tasso di degrado dell’umanità elevatissimo. È una disparità fra politica ed economia, perché non si è instaurata la consuetudine a invitare un governo a ritirarsi se non riduce la disoccupazione al 5%?  Ripeto, compito della politica è dare degli obiettivi. E occorre dire che il lavoro, per esempio, è prioritario rispetto alla moneta.

– “Tutta l’economia è soltanto un tentativo” è una frase tratta dal suo saggio. La possiamo considerare come un alibi per le classi più ricche o piuttosto come uno sprone per quelle più povere?

– Chi si affaccia all’economia dovrebbe partire dal presupposto che siamo di passaggio su questa terra. Si tenta di fare qualcosa di buono. Nella nostra società siamo incapaci di vivere, la società richiede rapporti di fiducia più ampi di quanto non li richieda il denaro: ad esempio, sappiamo come funziona un aeroplano? In generale no, eppure ci viaggiamo senza problemi. La società in cui viviamo può permettersi di avere un gran numero di cittadini inattivi. Noi dovremmo invece elaborare un’idea per cui ciascuno di noi compie la propria parte a prescindere dalla capacità di monetizzare il proprio lavoro. Shakespeare non ha costruito case, eppure ci ha lasciato molto. Io vorrei una società capace di esprimersi al meglio a vantaggio del singolo, anche del singolo capitalista, perché basata sulla proprietà e non sul capitale o sul denaro. È una questione sociale. Interpretare l’economia come un tentativo è uno stimolo per l’uomo qualunque a fare qualcosa che instauri un rapporto do ut des con il mondo in maniera naturale ed è qui che si potrebbe innestare un ambientalismo diverso da quello alla Greta, un ambientalismo che si potrebbe rivelare meno sconclusionato a mio parere.

– Quello che propone sembra un modello di vita utopico: vivere in armonia con il mondo, un’economia post-monetaria. Non sembra di sentir parlare un economista.

– Sinceramente non sono più così ottimista come lo ero un tempo. Potrebbe accadere che questo episodio della storia, il lungo periodo di ‘quarantena’ del Covid-19,  ci induca a riflettere. Non lo escludo, ma al tempo stesso non sono ottimista: mi ostino a credere che possa essere un momento di riflessione necessario per pensare in grande al domani. Occorre pensare in grande. Di fronte alla speranza di vita di poco meno di un secolo – che è comunque un nulla in confronto alla vita del mondo – mi piacerebbe avere la speranza, o forse l’illusione, di poter partecipare a un gioco che duri più di me e che i miei stessi figli possano prendervi parte pensando ad un ruolo nella vita dei loro discendenti. Ecco, questa prospettiva potrebbe fare bene a livello individuale. Pensare a un futuro lontanissimo, fa bene al presente presentissimo. Insomma, sarebbe utile per guardare alla realtà e all’attualità senza fare continuamente il conto della serva che – come sembra – stanno facendo Olanda e Germania a proposito del Recovery Fund.

 

Pierangelo Dacrema

Economia del malessere.

Perché tutto andrà bene se nulla sarà come prima

All Around, Roma, 2020

 

 

 

[1] P. Dacrema, Economia del malessere. Perché tutto andrà bene se nulla sarà come prima, All Around, Roma, 2020, p. 5.

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