[intervista raccolta nel corso di Sophia – La Filosofia in Festa – Pietrasanta 2022]
di Gianfranco Brevetto
A margine del Festival abbiamo chiesto al professor Vito Mancuso di rispondere ad alcune nostre domande. Ringraziamo il professore per il prezioso tempo che ci ha dedicato.
Abbiamo ascoltato con grande interesse il suo intervento. In particolare l’accenno che lei faceva sui temi della bellezza e sofferenza. Bellezza e sofferenza cosa sono? Una visione duale dell’esistenza?
– Bellezza e sofferenza esprimono la condizione umana, non è un dualismo. Dire dualismo vuol dire pensare che vi siano due principi predeterminati, qualcuno può anche pensare a un dio buono da cui viene la bellezza e un dio cattivo da cui viene la sofferenza. Queste sono a mio avviso elucubrazioni posticce che tendono di spiegare il dato, in sé contraddittorio, della condizione umana, ma questa non è possibile spiegarla solo a partire dalla bellezza come solo a partire dalla sofferenza. Una posizione unilaterale, poi, è quella che pensa che la vita sia solo sofferenza, solo assurdità, ovvero che sia solo bellezza, solo armonia. Come sempre la verità è nel mezzo, e nasce dall’impasto di queste due cose. Secondo me, questa apparente contraddizione si può spiegare alla luce di una visione di processualità, cioè di un processo unico di cui anche noi siamo parte e che andiamo facendo. Questa processualità provoca, da un lato, momenti di sofferenza e, dall’altro, momenti di bellezza.
– Lei poneva, nella sua relazione, un accento sul Super-ego. Da una parte lei sostiene che c’è bisogno di un Super-ego, dall’altro ci dice questo Super-ego non ci deve schiacciare. Parlando dal punto di vista etico, allora abbiamo bisogno di un giusto Ego?
– Certo, il senso della vita non è quello di sopprimere, di opprimere, di rinnegare o di mortificare l’Ego. È chiaro che l’Ego è un centro di consapevolezza e di volontà e, se noi pensiamo al lavoro dell’universo per produrre questo centro di consapevolezza e di volontà libera che noi chiamiamo Ego, dovremmo essere portati a proteggerlo. L’Ego non è assolutamente qualcosa di negativo ma, nello stesso tempo, non è qualcosa di compiuto in se stesso. Ha bisogno di qualcosa di Super, di più grande, su cui convergere per proseguire e compiere quella processualità dentro cui è inserito. Quindi è chiaro che l’Ego non è qualcosa da cui ci dobbiamo distaccare, questa è la mia visione, una visione molto occidentale. Io non credo a quelle filosofie, a quelle religioni, o prospettive, che vogliono mortificare l’Ego, credo e rappresento invece un pensiero che vuole che l’Ego consapevolmente si dedichi a qualcosa di Super e, facendo questo, si compie, perché entra in un movimento liberatorio e liberante.
– Recentemente lei è stato in Terrasanta, cosa è andato a cercare e cosa vi ha trovato?
– Ho fatto un’esperienza bellissima, sono andato a cercare quello che vanno a cercare tutti. Cosa si cerca in Terrasanta? Le proprie radici, perché, spiritualmente parlando noi siamo anche ebrei. Diciamo che la nostra anima è, per una metà, tra Atene e Roma e, l’altra metà, a Gerusalemme. Benedetto Croce diceva noi non possiamo non dirci cristiani, penso che questa frase sia vera ancora adesso. Ma dirsi cristiani vuol dire far riferimento a Gerusalemme. Poi è chiaro che noi, oltre ad avere una radice cristiana, ne abbiamo anche una pagana, il che è altrettanto importante. Queste due fonti, queste due radici che spesso sono contrapposte e si guardano male, in realtà hanno celebrato un grande matrimonio che si chiama Occidente. Più noi sappiamo recuperare una e l’altra radice e metterle in armonia tra di loro, più l’albero che noi siamo ritroverà vitalità e salute.