EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Tutto inizia con un parto in casa. Pieces of a woman e la strada da percorrere.

di Matteo Pratelli

Se dovessimo raccontare Pieces of a woman in poche parole, diremmo probabilmente che si tratta di un film su una coppia che perde una figlia a seguito di un parto travagliato, e le conseguenze di questa tragedia. Ma sarebbe riduttivo. A partire dall’evento della nascita (che in questo caso è nascita mancata, o comunque nascita che si trasforma in tragedia perché ad essa segue la morte improvvisa e inaspettata) si sviluppa una serie di eventi che sembra mostrare bene quello che le discipline psicologiche e sociologiche hanno rilevato negli ultimi decenni: la trasformazione della figura paterna, la sua perdita di importanza, secondo alcuni il suo declino inesorabile. Insieme, offre anche il controcampo di questa situazione: la sempre crescente importanza, anche all’interno della narrazione cinematografica, delle figure femminili.

Nel seguente articolo, cercheremo attraverso un’analisi dei simboli presenti nel film di svelarne i significati, aiutandoci in particolare con ciò che Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, ha scritto proprio sulla figura del padre. I simboli presenti nel lungometraggio sono a tratti talmente evidenti da non lasciare dubbi sull’intenzionalità dell’autore. Tuttavia, questa analisi si spingerà forse oltre le intenzioni coscienti dei creatori. Poco importa: non è la volontà del regista che è di nostro interesse, quanto quello che la sua opera può dire sulla psicologia dei personaggi e quindi di tutti noi.

Prima di cominciare, qualche nota tecnica. Il film, presentato in concorso nel 2020 alla 76esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, ha come regista Kornél Mundruczó e come attori principali Shia LaBeouf e Vanessa Kirby, che ha vinto per la sua interpretazione la Coppa Volpi e ha ricevuto una candidatura al Premio Oscar.

Martha e Sean sono una giovane coppia di Chicago. Lui lavora come capo cantiere alla costruzione di un ponte. Lei sta lasciando momentaneamente l’ufficio dell’azienda nella quale occupa, per quanto possiamo capire, un ruolo dirigenziale: è infatti incinta, al nono mese di gravidanza, e vuole vivere insieme al compagno gli ultimi giorni che li separano dalla nascita della figlia.

Hanno optato per il parto in casa. Quando a Martha si rompono le acque, Sean chiama Barbara, l’ostetrica che li segue fin dal corso pre-parto. Tuttavia quest’ultima è occupata con un’altra paziente che sta partorendo e manda al suo posto Eva. Il resto è il soggetto di uno straziante piano sequenza di quasi mezz’ora: il travaglio è difficile, la bambina nasce ma dopo pochi minuti muore a seguito di una crisi respiratoria. L’ambulanza arriva troppo tardi per salvarla. Solo ora appaiono i titoli di testa: il film, in un certo senso, inizia da qua. Il parto è solo un espediente narrativo che dà il via alla vicenda.

Il rapporto tra i due esce deteriorato da questo episodio. Martha, in particolare, si allontana sempre più dal compagno. Decide addirittura in autonomia di donare il corpo della figlia morta alla scienza. Sean non è d’accordo, e così la madre di Martha, Elizabeth. Si aspettano una reazione, si aspettano che Martha si costituisca parte civile nel processo contro Eva. Su consiglio di Elizabeth, Sean consulta, a insaputa della compagna, Suzanne, avvocata cugina di Martha con cui però quest’ultima non ha rapporti da anni. Sean e Suzanne iniziano una relazione basata solo sul sesso e sul consumo di droghe.

Sean è sempre più irrequieto, vuole andarsene da Chicago e ricominciare una vita a Seattle, sua città di origine. Inizia ad avere comportamenti aggressivi, soffre per la figlia morta, e il rapporto con Martha è sempre peggiore: non riescono neanche a fare l’amore.

Elizabeth, alla quale il genero non è mai piaciuto, capisce che la sua relazione con Martha è ormai alle corde: così gli stacca un assegno e lo spinge ad andarsene e a non tornare mai più. Sean accetta. È proprio Martha ad accompagnarlo alla stazione e guardarlo mentre se ne va.

Elizabeth si decide a parlare anche con la figlia. Vuole, come si è detto,  una reazione da parte sua: che vada a processo contro Eva e si batta affinché quella donna “paghi per ciò che ha fatto”. Martha si reca effettivamente in aula, ma al momento in cui prende la parola si esprime in difesa di Eva, riconoscendo che ciò che è successo non è colpa dell’ostetrica. La madre, seduta tra il pubblico, le sorride.

Ci sono due finali, in Pieces of a woman: Martha sparge le ceneri della figlia morta; nell’ultima scena vediamo che ha avuto un’altra figlia, anche se non sappiamo da chi. Dopotutto, è andata avanti.

Il ponte

“Il padre è costruzione”[1], scrive Luigi Zoja. Che significa? Lo psicoanalista, in un lungo studio, descrive la figura del padre come una figura totalmente artificiale. Non si è mai padri per natura, ma sempre per scelta. Se nell’antichità gli uomini fecondavano molteplici donne nel corso dei loro spostamenti, è con l’avvento della monogamia, della scelta di rimanere con una donna e creare una famiglia che nascono la civiltà e il concetto di “cultura”. Essere padre è sempre una scelta, e quindi l’archetipo del padre rappresenta, nella lettura di Zoja, il progetto, il controllo, il pensiero che domina l’istinto. Se si è madri (anche) per natura, nell’atto di portare il figlio in grembo, si è padri solo per artificio. Il padre, quindi, è “costruzione”. In Pieces of a woman la trasposizione cinematografica dell’archetipo del padre lo rende quindi “costruttore”, di ponti in particolare. Il film si apre proprio con la vista del ponte che Sean sta costruendo. E nelle scene successive lo vediamo impegnato nel progetto che lo porterà a divenire padre, a crearsi come tale. Ma l’evento della morte della figlia arresta questo suo progetto. Se Martha continua, simbolicamente, ad essere madre della figlia perduta, Sean cessa in un colpo solo di essere padre e costruttore. Nella vita coniugale, è incapace di razionalità. È infatti Martha a decidere di donare il corpo della figlia alla scienza (costruzione culturale per eccellenza). Lui non vuole, il solo pensiero lo fa impazzire. Scompare in lui ogni tipo di presa di responsabilità. Non vede più avanti, non ha un progetto. Come nella relazione, lo stesso succede nel lavoro: smette di essere padre, e quindi smette di costruire il ponte non recandosi più al cantiere. Il progetto va avanti senza di lui. Il film è cadenzato da inquadrature che mostrano i due estremi del ponte sempre più vicini. Esso viene completato alla fine del film, ma Sean se n’è già andato. Martha, però, sale su quel ponte, ed è proprio da lassù che sparge le ceneri della figlia, indossando un cappello che era stato di Sean. Martha ingloba in sé le figure che millenni di storia hanno attribuito separatamente a padre e madre. Adesso, lei ricopre entrambi i ruoli. È madre per natura (ha partorito sua figlia), ma prende su di sé anche la responsabilità del progetto  “paterno” rappresentata dal processo di costruzione. L’immagine cinematografica è emblematica: su quel ponte, per l’ultima vota, sono tutti e tre insieme, madre padre figlia. Ma Sean non c’è. Forse non c’è mai stato. Adesso Martha è madre e padre.

L’automobile

Il primo atto che vediamo compiere insieme a Martha e Sean è quello di acquistare un’auto. In realtà, è Elizabeth che paga, è lei che sostiene la figlia. Elizabeth e Martha sono i personaggi “forti” del film. Malgrado le loro differenze, sono le uniche che riescono ad affermare la propria volontà in maniera razionale, ad “alzare la testa”[2] nonostante la vita le colpisca duramente. Non a caso sono donne. Oltre a Sean, l’unico altro personaggio maschile del film è Chris, cognato di Martha, presente solo in tre scene nel corso delle quali dimostra tutta la sua mediocrità. La rappresentazione dell’universo maschile è a dir poco desolante.

Ma torniamo all’auto. Sean vende il suo pick-up, a cui era affezionato. Al suo posto compra un minivan, meno attraente ma certamente più funzionale ai viaggi in famiglia, visto che c’è una figlia in arrivo. La lettura è evidente: il pick-up rappresenta l’uomo solo, avventuroso, “virile”. Il minivan è in parte una rinuncia, una soppressione dell’istinto, e tuttavia lo è in maniera positiva: in vista di una famiglia. Ma Sean lamenta da subito questo cambiamento, e il fatto che sia la suocera a pagare per il nuovo veicolo: a suo modo di vedere, Elizabeth ha acquistato per loro il minivan al fine di “svilirlo”, insomma togliergli la sua virilità.

Dopo la morte della figlia, Sean restituisce il minivan e acquista nuovamente un pick-up. Rinuncia quindi al suo ruolo di padre, cosa che invece Martha non fa mai col suo ruolo di madre. Ed è proprio guidando quel pick-up che lei lo accompagna alla stazione. C’era una volta Sean-padre, adesso non c’è più.

Ultima nota a questo proposito: è proprio nel minivan che vengono ritrovati degli orecchini che non appartengono a Elizabeth. Non solo il padre tradisce, ma lo fa nel veicolo che era stato acquistato per la famiglia.

Il sesso, la droga

L’istituzione della figura del padre limita, secondo Zoja, l’aggressività maschile[3]. Basti pensare che, nell’essere umano, non esistono lotte per l’accoppiamento come riscontriamo negli animali; o, perlomeno, tali lotte vengono traslate in ambiti socialmente accettabili. È interessante notare come nel film, a seguito della perdita della figlia, Sean regredisca a uno stato “anteriore”, in quanto sviluppa nuovamente una forma di aggressività che si rivolge alla sua compagna (nella scena del mancato rapporto sessuale) come ad altre persone (Chris, ad esempio).

Tratti di questa regressione si ritrovano anche sul piano sessuale e più in generale istintuale. Sean inizia una relazione con Suzanne. Ma non c’è la benché minima traccia di progetto nel loro incontro. Certo, sarebbe assurdamente moralistico pensare che ogni rapporto sessuale debba avere alla base il tentativo di costruire una vita insieme. Tuttavia, in Sean e Suzanne non riscontriamo neanche la presenza di desiderio umano, ma solo spinta pulsionale, puro istinto animale. La soddisfazione che cercano è una soddisfazione immediata, che considera il corpo dell’altro solo come strumento per placare un appetito che si ripete sempre uguale e incessante. Infatti, alla base del rapporto fra i due c’è anche il consumo di droga (vediamo Sean che sniffa cocaina). Anch’essa rappresenta una componente istintuale che il divenire del padre aveva allontanato e che il trauma della perdita ha nuovamente accentuato[4]. L’istinto ha vinto sulla ragione, l’ora sul domani. Sean ritorna animale, e se è vero che “il maschio paterno non esiste allo stato naturale”[5], è il padre-Sean che cessa di esistere.

Semi

Dopo il parto, Martha sviluppa un particolare appetito per le mele. Quando si trova a testimoniare al processo, e le viene chiesto di cosa odorasse sua figlia quand’è nata, lei risponde “She smelled like an apple”, sapeva di mela. Dalle mele che mangia in continuazione, Martha comincia ad estrarre i semi. Va in libreria, acquista un libro sulla germinazione, e li pone quindi tra due fogli di cotone umidi. È proprio in seguito al processo, quando ha finalmente trovato di nuovo le parole, quando ha “alzato la testa” per dire quello che pensava e riprendere così il controllo della propria vita, che si accorge che i semi hanno cominciato a germogliare.

È impossibile non cogliere in questo la metafora di una nuova vita che nasce: una madre che perde la figlia e che comincia per questo a coltivare qualcosa di nuovo che un giorno darà i suoi frutti. Ma non basta: credo ci si possa spingere ancora oltre.

Nella sessualità umana, il seme rappresenta lo sperma maschile che feconda l’ovulo femminile. Sean ha fecondato Martha, lei ha custodito in grembo la loro figlia. Poi un tragico evento gliel’ha portata via. Che fare adesso, per ricominciare? Martha si fa responsabile di una nuova vita, è vero. Ma è estremamente curioso che lo faccia a partire dal seme, simbolo della sessualità maschile. Questo sembra avvalorare la tesi sopra riportata. Se è Martha ad essere padrona del seme, il maschio scompare e la madre assume anche la funzione di padre. Da lei dipende tutto il processo della germinazione: è lei ad accudire ed è lei a fornire il seme.

L’ultima scena fissa in immagine questa idea. La nuova figlia di Martha si arrampica su un albero: ovviamente, un albero di mele. Sua madre viene a chiamarla, ma è sola: non c’è un uomo accanto a lei, nessun riferimento a un padre. Sarebbe assurdo pensare che il regista abbia voluto suggerire esplicitamente che Martha ha avuto una figlia senza un partner, magari ricorrendo all’inseminazione artificiale. Con ogni probabilità, un uomo c’è nella vita di Martha, ma la sua importanza è comunque estremamente ridimensionata: l’albero di mele, che regge la figlia, dipende in tutto e per tutto dall’azione della madre.

“Nei paesi dell’occidente, il padre descrive un lento, lungo tramonto: incerto dagli inizi dell’era moderna, più visibile negli ultimi due secoli”[6].

Il sottotitolo del libro di Zoja è Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre. Senza volere addentrarsi in valutazioni più estese in materia (non è l’argomento del presente saggio, né rientra tra le competenze di chi scrive), è comunque interessante notare che Pieces of a woman si inserisce appieno nell’ambito della “scomparsa” della figura paterna. Martha impara a fare a meno di un compagno per divenire madre di una figlia, per continuare a vivere. Assume su di sé la responsabilità di tracciare la propria via, progettare la propria esistenza. Fa insomma sue tutte le funzioni paterne abdicate da Sean. Il maschio diviene così inutile che, simbolicamente, non fornisce più neanche il seme.

Nel cinema contemporaneo, la scomparsa del padre è un tema sempre più diffuso e a cui sarebbe opportuno dedicare attenzione. Si pensi ai padri assenti nel cinema di Almodóvar e Xavier Dolan. Si pensi ai Festival cinematografici più importanti del mondo (Venezia e Cannes) e al fatto che, nel 2021, essi hanno visto il trionfo due film[7] che, pur trattando la maternità in maniera diversissima, parlano comunque di donne che rimangono incinte e che sono sole. Addirittura, una delle due non rimane neanche incinta di un uomo, ma di una macchina! Ancora, in Stranger Things, serie che forse più di tutte ha plasmato l’immaginario giovanile negli ultimi anni, i padri sono tutti insignificanti, e l’unico che mantiene ancora una sua importanza, Hopper, è guidato nelle azioni da un’altra madre, Joyce, senza la quale sarebbe probabilmente un alcolista senza futuro[8].

Il cinema, come l’arte in generale, ha un’incredibile capacità di intuire i cambiamenti in corso e mostrarci la via che stiamo percorrendo. Se questo è vero, Pieces of a woman ha certo la funzione di mettere in scena quello che Zoja e altri, ognuno all’interno della propria disciplina, hanno da tempo intravisto. A partire da una nascita, il film ci mostra quindi la scomparsa del padre e il progressivo aumento d’importanza del lato femminile e materno. Su questi temi, è ad oggi uno degli esempi più fulgidi e riusciti.

Bibliografia

L.Zoja, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino, 2016

Filmografia

Pieces of a woman, K. Mundruczó, USA, 2021

Avatar. The way of water, J. Cameron, USA, 2022

L’événement, A. Diwan, Francia, 2021

Le otto montagne, F. V. Groeningen, C. Vandermeersch, Italia, Belgio, Francia, 2022

Stranger Things, Duffer Bros, USA, 2016-in corso

Titane, J. Ducournau, Francia, Belgio, 2021


[1] L. Zoja, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, pag. 31

[2] L’espressione non è impiegata casualmente. Rimanda al discorso che Elizabeth rivolge a Martha, quando le racconta di un’esperienza dolorosa che ha vissuto da piccolissima. Lasciamo al lettore la scoperta della storia durante la visione del film.

[3] Ibidem, pag. 68

[4] È interessante notare che nel film si accenna a un passato da alcolista di Sean. Se il consumo di alcool, come quello di droga, simboleggia la componente istintuale del personaggio, il suo percorso di vita sarebbe quindi rappresentato dalla sequenza istinto-progetto-istinto. In atto c’è una regressione ad uno stato di vita precedente.

[5] Ibidem, pag. 60

[6] Ibidem, pag. 214

[7] Titane, Julia Ducournau; L’événement, Audrey Diwan.

[8] Non tutto il cinema, ovviamente, va in questa direzione. Solo quest’anno, si pensi a due film importantissimi e diversissimi come Avatar e Le otto montagne, che vedono come tema centrale il rapporto padre-figli.

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