di Francesco Tramonti
La biografia di Gregory Bateson, se vogliamo, non è che una magnifica metafora della sua parabola scientifica e del suo pensiero in continua evoluzione, ancorché fondato su ricorrenze e solidi elementi di coerenza e riconoscibilità. Antropologo, studioso di scienze naturali, comunicazione umana e comportamento animale, Bateson è stato infatti protagonista di un incessante progetto di ricerca che, solo apparentemente cangiante e dispersivo, ha rivelato un preciso filo conduttore e ha ripiegato costantemente su stesso – ogni volta aggiungendo un nuovo anello di conoscenza – in un processo ricorsivo che è stato esso stesso cruciale oggetto di indagine. È per questo che Bateson è stato innanzitutto un epistemologo, quale che sia il punto di osservazione adottato o l’ambito disciplinare da lui esplorato di volta in volta. Un epistemologo che, al pari di altri, ci ha ricordato quanto ogni prospettiva di osservazione e di studio sia inevitabilmente limitata e parziale, e quanto le nostre menti, anche in virtù dell’autocoscienza umana, siano irrimediabilmente vulnerabili a perdere di vista le connessioni che legano gli esseri viventi e interi ecosistemi; temi la cui attualità non ha probabilmente bisogno di essere sottolineata.
È proprio il pattern che connette a rappresentare il tema di fondo dell’opera di Bateson, che in quanto tale può esser vista come un’autentica crociata contro le separazioni indebite, contro le semplificazioni e le reificazioni che viziano il nostro pensiero e provocano conseguenze nefaste per il contesto in cui viviamo e, quindi, per noi stessi. Quello di Bateson è pertanto un invito al recupero di una sensibilità estetica, ossia di una capacità di cogliere queste connessioni, una capacità che vive costantemente sotto la minaccia del sopravvento di azioni alimentate dalla brama di controllo e di potere. Tale pretesa di segmentare e controllare elementi o fenomeni che non possono essere astratti da complesse catene di causalità circolare rappresenta infatti uno degli errori più comuni e gravidi di effetti indesiderati sul piano dei rapporti umani e degli equilibri delle più vaste ecologie. Sono piuttosto note le pagine in cui Bateson ricordava l’ascesa e il declino del Dicloro Difenil Tricloroetano (DDT), da efficace insetticida a pericolosa deriva ecosistemica; ebbene il DDT è nient’altro che un esempio paradigmatico di come la soluzione di un problema, se cieca rispetto alle conseguenze dell’intervento predisposto, possa diventare a sua volta un problema ben più grave di quello che ha originato la ricerca della soluzione medesima (Bateson, 1972; Bateson, 1979).
È quindi il costrutto stesso di controllo ad essere in sé problematico. Da lì hanno preso le mosse le prime riflessioni di Bateson in ambito antropologico, per poi trovare riscontri e paralleli nel campo transdisciplinare della cibernetica e delle teorie sistemiche. L’eredità di Bateson è difatti ampia, nei contenuti sviluppati, ad oggi ancora rilevanti, e nel novero delle discipline interessate, in molte delle quali l’autore ha gettato semi i cui frutti – non sempre colti e adeguatamente apprezzati – rappresentano un bagaglio prezioso in termini di approccio alla conoscenza e di antidoto ai difetti e ai punti ciechi del pensiero. Si tratta, in altre parole, di un patrimonio che ha fecondato diversi campi del sapere, lasciando tracce significative nello studio dei processi di apprendimento e delle patologie della comunicazione, nonché dei rapporti tra mente e materia e dei processi ecologici di vasta scala. Laddove il contributo di Bateson non è stato adeguatamente apprezzato è soprattutto per un rigore metodologico che agli occhi di alcuni è mancato, ma sebbene certe critiche non siano del tutto prive di fondamento, è innegabile che le sue intuizioni debbano essere riconosciute e custodite come un bene assai prezioso. Ciò in virtù del fatto che non è di dati che l’eredità di Bateson è portatrice, ma piuttosto di prospettive di pensiero e fertili riflessioni di cui, peraltro, anche il metodo ha bisogno.
Scienziato ed epistemologo costantemente sospeso tra due mondi, Bateson ha danzato tra la ricerca di una prospettiva unificante, su temi di varia scala, che fosse scientificamente fondata, e il costante timore di una degradante deriva riduzionistica. Tra il rigore e l’immaginazione si è di fatto collocata l’impresa conoscitiva dell’autore – per usare le sue stesse parole (Bateson, 1979) – e da questo posizionamento, che ha rischiato di renderlo orfano di entrambi i mondi, potrebbe in realtà derivare una costante e feconda ispirazione per tutte le forme del sapere, poiché non vi è arte che non contempli elementi di rigore e al contempo non vi è impresa scientifica di rilievo che prescinda da un atto creativo o dalla dovuta flessibilità, anche sul piano dei metodi. Vi è poi una chiara, persino ovvia implicazione riguardo ai rapporti tra le varie discipline, poiché senza togliere importanza alla specializzazione e ai pregi di un approccio analitico, è ormai acclarato che le singole forme del sapere non godono di alcuna autosufficienza, né di posizioni privilegiate, specie laddove mettono sotto esame fenomeni di elevata complessità. È perciò imprescindibile, in ogni ambito disciplinare, una prospettiva orientata alla conoscenza transcontestuale, non a caso uno dei principi guida dei progetti di ricerca dell’International Bateson Institute, diretto dalla figlia Nora, e costituito da scienziati di varia estrazione, accomunati da un’ispirazione rivolta proprio alla ricerca del pattern che connette (Bateson, 2016).
Questo numero di EXAGERE vuole pertanto rendere omaggio all’eredità di Bateson in tutte le discipline cui si rivolge solitamente la rivista, raccogliendo i frutti preziosi di un patrimonio di ricerche e riflessioni che ha ancora molto da insegnare e offrire, forse proprio perchè non si traduce in facili soluzioni, programmate a scadenza, ma in esercizi epistemici per la cura del nostro agire. In questo risiede probabilmente la longevità di un pensiero che, avendo innescato processi in costante evoluzione e rinnovamento, è destinato a non perdere incisività e vigore, purché non si cada nel tranello di ricavarne semplici e infallibili applicazioni. La posta in gioco, noi crediamo, è un’imprescindibile riconnessione, con noi stessi e con il mondo.
Riferimenti bibliografici
G.Bateson, Steps to an Ecology of Mind, Chandler, San Francisco 1972 (Trad. it., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976).
G.Bateson, Mind and Nature. A Necessary Unity, Dutton, New York 1979 (Trad. it., Mente e Natura, Adelphi, Milano 1984).
N.Bateson, Small Arcs of Larger Circles: Framing Through Other Patterns, Triarchy Press, Axminster 2016.