di Bruno Mastroianni
Parlare di menzogna, oggi, in uno scenario di comunicazione caratterizzato da iperconnessione, sovraccarico informativo e accesso libero al dibattito pubblico dovuto alle tecnologie digitali è impresa rischiosa. L’idea, infatti, di poter descrivere con nettezza e immediatezza ciò che è errato, rispetto a ciò che è accurato e veritiero, si scontra con una conversazione pubblica in cui la pluralità di fonti, attori, criteri, linguaggi ha di fatto introdotto una complessità che espone ogni tentativo di distinzione netta tra vero e falso al rischio di una riduzione retorica e metodologica che perde per strada la realtà proprio mentre cerca di parlare di essa.
Il dibattito pubblico è caratterizzato ormai da anni dalle cosiddette formulazioni binarie[1]: un modo di descrivere ciò che accade secondo continue contrapposizioni inconciliabili, in cui la realtà è sempre suddivisa in punti di vista opposti che si escludono tra loro. È un linguaggio in uso nella comunicazione politica[2], che da sempre ha trovato una sponda nelle narrazioni conflittuali di un certo stile giornalistico e mediatico[3], fino ad arrivare di fatto a permeare tutte le parti della società, producendo una vera e propria attitudine mentale che spinge costantemente ciascuno a dichiarare di fronte a ogni nuova informazione e conoscenza anzitutto “da che parte sta”, secondo un’alternativa spesso binaria, prima ancora di considerare ciò che sta leggendo, ascoltando, vedendo, conoscendo.
Parole come “menzogna”, “bugia”, “vero”, “falso” vengono utilizzate con sempre maggiore disinvoltura nel dibattito come armi retoriche per marcare una differenza di opinione rispetto all’altro, e non per un loro collegamento a criteri di valutazione sull’accuratezza o meno di un certo contenuto o un avvenimento[4]. Negli ultimi anni, a questa lista si è aggiunto anche il termine fake news che, nato per descrivere le notizie manipolate e prive di fondamento che si diffondono nella conversazione pubblica, è diventato esso stesso un modo per sconfessare le idee dell’altro. Molti esponenti politici in tutto il mondo si servono del termine per definire i media che producono contenuti a loro non graditi[5] o per rigettare le opinioni e le dichiarazioni dei propri avversari, infine il termine è penetrato nei discorsi online tra persone comuni, in cui spesso la parola fake news è utilizzata per rigettare qualcosa che ha affermato l’altro.
L’uso disinvolto di un linguaggio che pone costantemente in prospettive binarie e inconciliabili, che si serve con leggerezza delle categorie del vero e del falso per depotenziare i discorsi dell’interlocutore, ha portato quindi da un lato a compromettere il potere comunicativo delle categorie della verità e della falsità, e dall’altro a produrre una specie di illusione riduzionista per cui di fronte a qualsiasi evento, avvenimento, notizia che si incontra si è portati anzitutto a schierarsi e a scegliere da che parte stare, mentre ciascuna delle parti contrapposte continua a proporre la sua posizione come vera rispetto all’altra che è menzognera, infondata, manipolata.
È un effetto che, producendosi a livello di linguaggio e comunicazione, alla lunga di fatto ha inciso sul nostro modo di vedere la realtà. Ogni volta che siamo di fronte a una nuova informazione, siamo portati a utilizzare le categorie di vero o falso come valutazione del loro maggiore o minore accordo rispetto alle nostre convinzioni precedenti. È l’effetto dei cosiddetti pregiudizi di conferma[6], da sempre presente nel nostro modo di intendere la realtà in base ai nostri schemi mentali, potenziato dall’interconnessione in cui siamo immersi grazie ai social network online e al web.
Da un certo punto di vista anche la cosiddetta pratica del fact-checking, il controllo cioè dell’accuratezza dei fatti e delle informazioni riportate nei contenuti per stabilirne in modo esatto l’attendibilità, può cadere nella stessa illusione. L’idea che basti verificare numeri, dati, fatti, per poter dirimere ogni questione e eliminare ogni dubbio, tende a rientrare nella retorica della riduzione al vero/falso che elimina ogni visione alternativa[7] di fatto disconoscendo la complessità della realtà. Per questo il fact-checking da solo si dimostra spesso inefficace[8].
L’epoca dell’iperconnessione e del caos informativo si sta rivelando non a caso come un’epoca di convinzioni granitiche: l’illusione di poter conoscere e intervenire su tutto, la sensazione di dover stabilire in ogni momento ciò che è vero (da accettare) e ciò che è falso (da combattere e respingere) rende spesso sostenitori ciechi e aggressivi di credenze non messe opportunamente alla prova[9] e che non si ha alcuna intenzione di mettere in discussione.
Di fronte a questa situazione il rischio è pensare che non ci siano vere alternative alla riduzione binaria. Così da un lato si cade in derive autoritarie in cui la tentazione è affidare a qualcuno o qualcosa (leggi, algoritmi, polizia, istituzioni) il compito di stabilire la verità o la falsità delle conoscenze; dall’altro in derive relativistiche e utilitaristiche in cui si approfitta della lotta per il consenso tra convinzioni in contrapposizione per ottenere un vantaggio economico o politico (è la prospettiva di molte pratiche di marketing, compresa gran parte delle strategie di comunicazione politica che vediamo adottare praticamente da tutti gli schieramenti). Abbiamo allora bisogno di un approccio completamente diverso al problema della menzogna e della verità.
In epoche passate, una delle sfide principali era l’accesso alle informazioni: chi poteva consultare le fonti, le biblioteche, gli archivi, le banche dati aveva la chiave per capire molte cose della realtà. Il punto è che vi accedeva proprio perché aveva i criteri e l’intenzionalità di conoscere. Oggi l’accesso alle informazioni è libero per tutti, talvolta addirittura irriflesso e casuale, la sfida è quindi opposta: occorre mettere i cittadini in condizione si affrontare il sovraccarico ricordando i propri limiti e la complessità della realtà, per non cadere in facili riduzioni ritagliate sulle proprie convinzioni. La società della conoscenza[10], richiede un’azione educativa adeguata altrimenti può trasformarsi facilmente in società dell’ignoranza e dell’esclusione[11].
Abbiamo aperto le possibilità della comunicazione e dell’informazione potenzialmente a tutti, ma abbiamo ancora bisogno che a questa apertura corrisponda il diffondersi di un atteggiamento culturale adeguato a ogni livello, da quello scolastico a quello professionale, fino ad arrivare a tutte le pieghe del vivere sociale. È qualcosa che non riguarda più solo una fetta di popolazione, magari una presunta élite o “classe dirigente” socialmente preminente rispetto ad altre, ma chiunque, giacché oggi per essere connessi con il mondo e prendere parte alla conversazione pubblica non c’è più selezione all’ingresso.
Come si potrà diffondere questo atteggiamento culturale maggiormente rispondente alle sfide della società dell’interconnessione e della conoscenza? Lo si potrà fare proprio a partire dal riconoscimento che sono i deragliamenti nella comunicazione che abbiamo delineato finora (in particolare la retorica delle combinazioni binarie per delineare schieramenti e ottenere consenso, ma non è l’unico) ad aver inciso sul nostro modo di vedere la realtà, producendo di conseguenza comportamenti e abitudini. Il modo con cui parliamo di ciò che succede incide sul nostro modo di vedere la realtà e questo modo di vederla incide sui nostri comportamenti, su chi siamo e su come viviamo le relazioni con gli altri: la dimensione del comunicare è inscindibilmente intrecciata con quella del conoscere e dell’essere[12].
Insomma, la situazione così come si è delineata oggi non è un destino irreversibile, ma è frutto di un preciso insieme di dinamiche di comunicazione gestite in un certo modo, da protagonisti riconoscibili, in base a precise scelte, in un determinato periodo di tempo. La sua origine è nel modo con cui la comunicazione di massa si è configurata in particolare nella società capitalistica, secondo certi modelli economici e culturali, e che è stata trasportata nel nuovo scenario digitale[13] dell’autocomunicazione di massa[14]. In altre parole, fin qui il nostro modo di comunicare ci ha portato a un certo modo di conoscere la realtà e di conseguenza a un certo modo di essere e di configurare le relazioni tra di noi; saranno altrettanti modi di comunicare che potranno apportare un’inversione di tendenza.
Finché si rimarrà, anche da parte di chi è competente o chi è motivato, nell’idea di un’opposizione binaria in cui alla menzogna e alle manipolazioni si deve opporre la verità che ne dissipa le ombre, si finirà nel cedere alla retorica degli schieramenti contrapposti in cui, alla fine, avrà la meglio chi fa appello alle paure o alle fragilità degli esseri umani. Detto altrimenti, il tema della menzogna e della verità deve essere sottratto alla strumentalizzazione retorica in cui è ora schiacciato in continui scontri per il consenso, ed essere riportato nella sua dimensione più opportuna: del significato che diamo alla nostra vita e alle nostre relazioni come esseri umani interconnessi. Di fronte al riduzionismo del vero/falso e pro/contro, non basta prendere posizioni più o meno giuste, ragionevoli, ponderate, perché rientreranno nell’opposizione binaria; va invece creato un discorso e un comportamento completamente alternativo che dia una forma diversa e alternativa alle relazioni in rete.
La cosa è realizzabile proprio grazie allo scenario digitale: i canali di comunicazione non sono più esclusivamente in mano a coloro che tradizionalmente hanno avuto sempre un certo interesse (economico e politico) a dividere la realtà in formule binarie. I detentori dei media e dell’informazione, così come le istituzioni o i poteri costituiti non hanno più l’esclusiva nell’immettere contenuti e significati nel sistema di comunicazione globale[15]. Certo, il loro peso è sempre molto grande e rimarrà sempre il loro interesse a poter portare avanti modalità di comunicazione economicamente più vantaggiose. Ma ormai siamo in una realtà interconnessa in cui ciascuno singolarmente o in gruppo, in modo organizzato o meno può portare il suo contributo. La società in rete globale ha assunto una certa forma (di comunicazione, di vita e di conoscenza) in base ai significati che i diversi nodi della rete hanno dato alle loro relazioni: se ci sarà chi inizierà a immettere nella rete un modo diverso di comunicare, di pensare e agire (ad esempio in alternativa alle combinazioni binarie) la rete di comunicazione, perlomeno a partire dalle connessioni di quel nodo, incomincerà a operare diversamente[16].
Abbiamo bisogno di una generazione di cittadini, di genitori, di docenti, di professionisti, di politici, di comunicatori, di giornalisti (e la lista non finisce) che siano motivati al cambiamento di prospettiva a partire dalla cura delle proprie azioni di comunicazione in rete. Se il problema della menzogna si vede da questo punto di vista, si apre allora un nuovo scenario di azione che riguarda ciascuno e lo può motivare a curare particolarmente il suo modo di comunicare, sapendo che dal significato che darà alle sue relazioni di comunicazione dipenderà il cambiamento nella realtà sociale.
Se dovessimo delineare degli ambiti specifici su cui ciascuno è chiamato ad agire, pensando al web e ai social network, ne potremmo individuare fondamentalmente tre: il modo di raccontare e di parlare di se stessi; il parlare di ciò che succede nel mondo; il modo di discutere con gli altri che si incontrano nelle interazioni comunicative[17]. Il cambiamento parte dal modo con cui ci mostreremo per ciò che siamo online, passerà dalla scelta delle parole[18] che usiamo per parlare di ciò che succede, infine si realizzerà nelle discussioni che si produrranno in ogni incontro tra differenze di vedute di cui saremo protagonisti[19].
Il cambiamento rispetto al sistema delle manipolazioni e delle menzogne passa dalla cura di queste micro-interazioni di comunicazione in cui cittadini, organizzazioni, istituzioni e attori sociali si trovano quotidianamente e dove si possono ricostruire i significati nelle relazioni in rete tra esseri umani. Ogni volta che qualcuno, nel piccolo delle sue azioni comunicative in rete, pensa che non stia a lui, che non importa, o peggio, approfitta della situazione per trarne vantaggio, sta in realtà contribuendo a dare lui stesso la forma deragliata e manipolata delle relazioni della rete. Ne è lui l’autore.
Il dibattito pubblico impostato sulle opposizioni binarie ci ha portato a una visione strumentale e utilitaristica della comunicazione. Per questo pensiamo che specialmente i social network e il web siano il luogo della menzogna e della falsità, dove manipolare e fingere è molto più facile. A questo pensiero spesso opponiamo un mondo della realtà concreta dove la lotta tra verità e menzogna, tra conoscenza accurata e false convinzioni, si gioca tutta a un livello epistemologico e scientifico indipendente. È precisamente questa visione tanto astratta quanto infondata che ci rende ipersensibili, ma immobili; preoccupati dello scenario attuale e capaci di criticarlo con grande forza, ma totalmente impossibilitati a produrre cambiamento. Viviamo in una specie di costante distratta attesa che qualcuno faccia qualcosa. Questo è forse l’aspetto più pericoloso per la vita democratica, specialmente in una realtà iperconnessa come la nostra, in cui la partecipazione attiva è l’unica vera linfa vitale che può tenerla in buona salute.
La sfida della conoscenza in realtà è sarà sempre vincolata, anzi subordinata, alle dinamiche di comunicazione e ai significati che attribuiamo alle relazioni nella società interconnessa. Il problema è di interconnessione e di relazioni in rete, e non si potrà mai risolvere se non in una dinamica di rete in cui sono i nodi, ciascuno dalla sua posizione, a sviluppare azioni alternative. Non c’è una lotta tra vero e falso, o tra illuminati e confusi; non ci sono un web e dei social network che complicano lo scontro; c’è un’umanità interconnessa che per ora ha lasciato decidere ad alcuni quale forma dare alle relazioni in rete. È ora di riprendersi questo potere.
È finita l’epoca degli addetti ai lavori, dei guru, delle élite, della “classe dirigente”, come la intendevamo un tempo; è iniziata l’epoca del compito di ciascuno[20]. Da qui si deve e si può ripartire.
[1] Cfr. G. Cosenza, Semiotica e comunicazione politica, Laterza, Bari-Roma 2018, versione ebook, cap. 1. Le classificazioni binarie.
[2] Cfr. Ibid.
[3] Cfr. D. Contreras, Il conflitto come “valore” giornalistico, “Sphera Publica”, n. 6 (2006), Universidad Católica de San Antonio, Murcia 2006, p.79.
[4] Cfr. G. Cosenza, op. cit., cap. 1.4 Esiste una sola verità: la mia, gli altri mentono.
[5] Cfr. C. Wardle, H. Derakhshan, Information disorder: Toward an interdisciplinary framework for research and policy making, Council of Europe, Strasbourg 27 settembre 2017, p. 6.
[6] Cfr. Walter Quattrociocchi, Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità, Franco Angeli, Milano 2016, versione ebook, cap. 3. Tribù virtuali, par. Pregiudizi di conferma.
[7] C. Giaccardi, N. Jurgenson, Introduction. Unsaying the Truth: An Apophatic View for the Digital Age, in “Comunicazioni sociali. Journal of Media, Performing Arts e Cultural Studies”, anno XXXIX, n.3 september-december 2017, p. 391.
[8] Cfr. C. Wardle, H. Derakhshan, op. cit., pp. 66-67.
[9] Cfr. V. Gheno, B. Mastroianni, Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, Longanesi, Milano 2018, pp. 118-121.
[10] Cfr. P. Dominici, Dentro la società interconnessa, Franco Angeli, Milano 2014, p. 84 e seg.
[11] Cfr. Ibid., p. 144.
[12] Cfr. V. Gheno, B. Mastroianni, Tienilo acceso, op. cit., p. 253.
[13] Cfr. A. Pavolini, Oltre il rumore: perché non dobbiamo farci raccontare internet dai giornali e dalla TV, Informant, 2016, versione ebook, par. I contenuti: dal significato al senso.
[14] Cfr. M. Castells, Comunicazione e potere, Università Bocconi Editore, Milano 2017, versione ebook, cap. 2, par. La convergenza teconologica e il nuovo sistema multimediale: dalla comunicazione di massa all’autocomunicazione di massa.
[15] Ibid., par. La trasformazione della comunicazione nell’era digitale.
[16] Ibid., par. Riprogrammare le reti, ristrutturare le menti, cambiare il mondo.
[17] Cfr. V. Gheno, B. Mastroianni, Tienilo acceso, op. cit., pp. 14-15.
[18] Cfr. V. Gheno, Social-linguistica. Italiano e italiani dei social network, Cesati, Firenze 2017, p. 107 e seg.
[19] Cfr. B. Mastroianni, La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico, Cesati, Firenze 2017, pp. 111-113.
[20] B. Mastroianni, Fare rete nella rete: la comunicazione come ricostruzione del tessuto sociale nell’era digitale, in Famiglie in rete. Nuove competenze sociali per lo sviluppo di comunitarie, a cura di M. Giorndano, Franco Angeli, Milano 2018, p. 65.