EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Vivere nell’immanenza. La legge e Kafka

di Alberto Basoalto

 

– 1984. Paris. Centre Georges Pompidou. Le siècle de Kafka.

Siamo nella seconda metà del secolo scorso. La Francia è in piena era mitterrandiana quando, al neonato Centre Pompidou, viene organizzata un’esposizione che rimarrà tra i maggiori eventi concretizzatisi di quel luogo destinato alla cultura. Basti dire che tra gli organizzatori e comitato scientifico apparivano nomi come : Felix Guattari, Jack Lang, Jorge Luis Borges, Gilles Deleuze, Pierre Bordieu, Maurice Nadeau, a moltissimi altri ai quali. purtroppo, abbiamo dovuto dire addio.

L’esposizione, che oggi si direbbe anche multimediale, era classificata come pluridisciplinare in quanto si proponeva di affrontare l’opera di Franz Kafka da più punti di vista e servendosi di moltissimi materiali tra i quali alcuni manoscritti di Camus, Gide, Brod e opere di Giacometti, Klee, Brauner e altri ancora non meno importanti. Chi scrive ne è testimone essendosi, per puro caso, trovato in quella città europea in viaggio di piacere. Di quell’evento è tutt’ora disponibile del materiale in rete e un preziosissimo catalogo ancora rintracciabile nelle librerie online.

Pierre Bourdieu, ricordando Kafka come un ricercatore insaziabile della verità, commentava “dobbiamo contare su questa verità che non ci appartiene e tuttavia ci categorizza. Il vocabolo categoria, che la filosofia ha spesso impiegato, ha la sua etimologia in una parola greca che vuol dire accusare pubblicamente”. Il filosofo Jean-Pierre Faye ci ricorda poi come Kafka, e gli altri K., hanno camminato, errato fin dove era possibile arrivare e, in particolare, nella babele di lingue del primo dopoguerra, hanno finito per salvare proprio la lingua, il tedesco, che li avrebbe uccisi.

Il materiale disponibile elaborato durante l’esposizione ci dice tanto, dà ancora, a distanza di decenni, degli stimoli nuovi. Per esempio un questionario su Kafka dalla cui elaborazione si evidenzia come alla domanda : cosa significa per voi una situazione kafkiana? O con quale aggettivo si potrebbe sostituire il temine kafkiano? Le risposte hanno optato per dominazione, oppressione, oppresso, chiusura. Una impotenza e dipendenza che l’individuo, da solo e anonimo, è costretto a subire dagli altri. Altri che sono degli emeriti mediocri ed a cui è stato affidato il potere.

Il quesito che si ponevano, allora, gli ideatori Kafka era cercare di comprendere perché Kafka avesse avuto tanta influenza, nonostante fossero mutate le condizioni storiche e politiche a distanza di un secolo dalla sua nascita, avvenuta nel 1883. Ma Kafka, come sembra ricordarci Nadeau,  è stato più kafkiano di quanto si possa credere: implica il lettore, lo coinvolge al di là della sua volontà,  entra nel nostro inconscio.

– Davanti alla legge

Nel celeberrimo racconto di Kafka Davanti alla legge (scritto nel 1914 e poi entrato a far parte del romanzo il Processo, che data 1925) vi  è un uomo che chiede di entrare nelle legge. Davanti alla porta della legge vi è un guardiano che gli dice che non è possibile in questo momento entrare. Se vuole, potrà tentare più tardi. Alle insistenze dell’uomo, il guardiano risponde che se tenta di entrare, infrangendo la legge, troverà altri guardiani ben più severi di lui. L’uomo decide di attendere pensando che la legge dovrebbe essere accessibile a tutti. Passano i giorni e gli anni, l’uomo diventa sempre più debole. Mentre le forze lo stanno per abbandonare pone al guardiano la domanda che avrebbe dovuto porgli dal primo momento:

Tutti tendono verso la legge: come mai in questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?

Il guardiano rendendosi conto che l’uomo è ormai alla fine gli grida:

Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato solo a te. Ora vado a chiuderlo.

Autunno 2018. Un ufficio governativo. Interno giorno

Un cittadino si reca presso un ufficio pubblico. Arrivato al 5° piano dell’imponente stabile inaugurato nel 1934, dove ha appuntamento con un funzionario per il disbrigo di una pratica amministrativa, si avvia lungo il corridoio che lo dovrebbe portare all’ufficio competente. Poco prima di arrivare alla porta del funzionario in questione, si accorge che, nella stanza adiacente vi è una signora intenta a fumare. La stanza era aperta e accessibile. Poco più avanti il nostro cittadino nota un gruppetto di persone, due donne e un uomo, intenti a discutere fra loro. L’uomo si rivolge a queste persone per avvisare che vige il divieto di fumo negli uffici pubblici e che quella donna, in quell’ufficio a lato, sta vistosamente fumando incurante del divieto.

Il gruppetto non sembra far caso alle rimostranze dell’uomo. Questi, allora, si presenta e mostra il proprio documento di riconoscimento:

– Buongiorno, mi chiamo Amilcare Fazio volevo segnalare…

– Come? Fazio? Si chiama Fazio? Mi lasci vedere… non ci posso credere…questo signore si chiama proprio Fazio! Ripete più volte,, con fare sarcastico, una ragazza facente parte del gruppetto.

– Io non ci vedo nulla di strano nel mio cognome – aggiunge l’uomo -. Potrei parlare allora con chi è il responsabile che deve vigilare sul divieto di fumo all’interno di questo ufficio?

Il gruppetto non sembra, ancora una volta, voler dar seguito alle parole dell’uomo e anzi dice di non conoscere il nome di nessun responsabile. Poi continua a chiacchierare incurante.

– Posso allora parlare con il Direttore dell’Ufficio? Chiede dopo qualche secondo l’uomo.

A questo punto, il piccolo assembramento di impiegati si scioglie e l’uomo resta solo nel corridoio. Decide quindi di affrontare direttamente la signora dalla cui stanza continuano ad uscire, a breve intermittenza, piccoli cirri dall’odore intenso di tabacco. Entra.

– Buongiorno signora, lo sa che qui è vietato fumare?

– Guardi che sono qui da decenni. Fumo regolarmente da anni, mesi, giorni, ore. Sempre.

L’uomo esce dalla stanza e vede, di fronte, la stanza del segretario del Direttore.

– Buongiorno, volevo fare presente che nell’ufficio di fronte c’è una signora che fuma. È proibito… occorrerebbe multarla… c’è una precisa norma che lo vieta e che impone, agli uffici, di farla rispettare..

– Si accomodi nel salone, arrivo subito!

L’uomo esegue e si accomoda. Dopo circa un’ora viene raggiunto da due uomini in borghese che mostrano dei tesserini, gli chiedono i documenti e lo invitano a seguirli. In caserma all’uomo vengono poste alcune domande e, dopo due ore, viene rilasciato.

Sono trascorse circa quattro ore da quando si è presentato al quinto piano del mastodontico edificio sede degli uffici amministrativi. Tornato nel parcheggio trova, sulla sua auto, l’avviso di una contravvenzione per divieto di sosta perché, nel frattempo, il disco orario è scaduto.

Pagata la sanzione il cittadino si decide di scrivere al capo di quell’ufficio con una lettera raccomandata (completa di avviso di ricevimento).  Da allora, solo silenzio.

– La questione delle leggi

In La questione delle leggi (1920) Kafka ci dice : Le nostre leggi non sono purtroppo universalmente note, sono un segreto di quel piccolo gruppo di nobili che ci domina. Noi siamo convinti che queste antiche leggi sono osservate a puntino, eppure è estremamente penoso essere governati secondo leggi che non si conoscono[1].

Petizioni

Lo strumento è quello di un esposto di un comune cittadino di circa dieci pagine dattiloscritte che, in buona sostanza riportano tutte le fasi della vicenda.

Le lettere inviate dal nostro uomo, con l’andare del tempo e con l’effetto palla di neve tipico degli appelli inascoltati rivolti alla burocrazia, si sono moltiplicate. Manterrò, infine, un certo riserbo sui protagonisti di questa storia, riserbo non dettato certamente da problemi di riservatezza, in quanto, come dicevo, sono talmente tanti e vari i destinatari che la cosa è oramai pubblica a tutti gli effetti. Il riserbo, in questo delicato caso è dovuto, piuttosto, ad una certa rispettosa pudicizia necessaria  casi simili.

– Le sirene

Per Kafka (Il silenzio delle sirene, 1917) le sirene sono silenziose al passare di Ulisse. Esse mettono in atto la loro arma più potente: il silenzio. Lo stratagemma di Ulisse di turarsi le orecchie sarebbe allora solo un abile scudo nei loro confronti e nei confronti degli dei.

– Il Puzzle

Georges Perec, in Vita, istruzioni per l’uso ci dice:

All’inizio, l’arte del puzzle sembra un’arte breve, di poco spessore, tutta contenuta in uno scarno insegnamento della Gestalttheorie: l’oggetto preso di mira – sia esso un atto percettivo, un apprendimento, un sistema fisiologico o, nel nostro caso, un puzzle di legno – non è una somma di elementi che bisognerebbe dapprima isolare e analizzare, ma un insieme, una forma cioè, una struttura: l’elemento non preesiste all’insieme, non è più immediato né più antico, non sono gli elementi a determinare l’insieme, ma l’insieme a determinare gli elementi.

(…) malgrado le apparenze non si tratta di un gioco solitario: ogni gesto che compie l’attore del puzzle, il suo autore lo ha compiuto prima di lui; ogni pezzo che prende e riprende, esamina, accarezza, ogni combinazione che prova e prova ancora, ogni suo brancolare, intuire, sperare, tutti i suoi scoramenti, sono già stati decisi, calcolati, studiati dall’alto.

– Vivere nell’immanenza

Kafka, come nel caso del puzzle di Perec,  si trova a partecipare ad un gioco del quale, non solo non si conoscono le regole, ma del quale le regole appaiono decise all’atto della costruzione delle singole parti. Parti tra loro apparentemente indipendenti e casuali nelle loro forme. Il dio  di Kafka, che – ammesso che esita –  è un dio normativo e spietato, somigliante al dio filosofico che ha definito le regole per poi disinteressarsi della sua creazione, un demiurgo.  Ma, attenzione, in Franz Kafka anche dio o dèi sembrano ormai schiavi di queste leggi, ammesso – e qui il dubbio si fa sempre più forte –  che siano stati loro a crearle. Creato e creatore sono divenuti schiavi della loro creatura per eccellenza: la legge. Se la natura è dominata da leggi, se la vita umana è dominata da leggi, se tutto è legge- sembra dirci Kafka -non vi alcuno spazio per l’umano: meglio divenire insetti. Il dilemma dell’autore del puzzle non trova risposta nell’esistenza o meno delle divinità. La legge, di cui non si conosce autore e logica, non ha una teleologia o, a maggior ragione una escatologia. E’ fine a se stessa, senza alcuna dimensione temporale, non vi è alcuna partenza o un ritorno da o a uno stato originario, si vive nell’immanenza della norma. La legge si esprime nell’hic et nunc e non vi è alcun dialogo, mediazione (figuriamoci misericordia!). Tempo  s storia, quindi , non esistono, sono inutili in questa economia. Il racconto non inizia: al risveglio Samsa non può far nulla in quanto prigioniero, sotto altre forme, nel suo letto. Il risveglio mattutino è solo apparente, serve solo a fare da incipit (e sono tanti gli incipit con riferimenti temporali in Kafka). Nella legge non si può entrare. L’ingresso è destinato solo a te e tu sei condannato a non entrarci. La norma in Kafka è claustrofobica e senza giustizia. La legge non è stata creata per quello, è la legge burocratica che serve solo al funzionamento di un apparato che non si può inceppare. E, come tu non puoi conoscere la legge, così al potere è impossibile comunicare con te. Nel messaggio dell’Imperatore (1917), l’imperatore, morente, ha inviato a te un messaggio, ma nessuno riesce a consegnare il messaggio di un morto e tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera (qui il riferimento temporale è particolare, la sera non è il termine della giornata ma l’inizio dell’indeterminatezza). Sarebbe bello poter chiedere al nostro Buzzati cosa ha significato per lui questa attesa senza fine: l’ordine impartito non si discute, anche di fronte a un deserto vuoto.

L’attesa

Primavera 2019, ultimi giorni, il nostro uomo scrive ancora. Lettere e petizioni si moltiplicano. Lui resta in attesa. Nessuno mai risponderà alle sue lettere solo perché nessuno ha mai risposto alla prima.

 

 

[1] I precetti dell’ebraismo (mizvòth) sono 613, per buona parte di questi non vi è alcun riferimento circa alle ragioni e agli scopi per i quali furono introdotti (cfr. Dante Lattes, Aspetti e problemi dell’ebraismo, Borla Editore, 1970)

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